giovedì 16 settembre 2010
Monnezza. Come cominciare male la giornata
Questa va subito raccontata . Questa mattina, ore 7:00, pronto per uscire (mancava solo la giacca) mi dirigo in cucina per dare esecuzione all'ordine della consorte impartitomi prima di uscire presto: "ricordati di buttare la mondezza". Arrivo di fronte al secchio e noto che questo è particolarmente pieno. Faccio per sollevare la busta prendendola su due lati e mi accorgo che la busta sale mentre il contenuto tende a sprofondare all'intern0: - Cazzarola - penso - la busta è sfondata ! - Ma l'ingegnere non si perde d'animo e, recuperato il rotolo delle buste di plastica, srotolo veloce un'altra busta (uno strraap e via) e la colloco al rovescio sul secchio coprendo l'imboccatura della vecchia busta con l'intento di rovesciare con un movimento rapido tutto il contenuto del secchio nella nuova busta. Tragedia ! In realtà la busta nel secchio non era rotta.. era difettosa! E anche quella dopo nel rotolo aveva lo stesso difetto, non era sigillata in fondo, in pratica un tubo! Giuro, con il mio rapido movimento, HO RIEMPITO IL PAVIMENTO DELLA CUCINA ! Evito i dettagli (vasetti di yogurt, fusilli, un finocchio, bucce di pesca, ecc.ecc.) ma ho dovuto recuperare un'altra busta e, una volta verificato che questa non fosse difettosa, raccogliere il tutto a mano e procedere, consumando una quantità industriale di scottex a raccogliere il percolato fetido che tra l'altro aveva sporcato tutto il contenitore (ormai un puzzolente cassonetto domestico).. terribileeee!
lunedì 13 settembre 2010
L'Italia che verrà
Sto lavorando a L'Italia che verrà trasformandolo in una piccola pubblicazione. Sto riprendendo i testi del blog cercando di arrivare ad un testo coordinato e grammaticalmente accettabile. Non sta venendo male.. però che fatica !
Ma come fa certa gente a riempire pagine e pagine di storie ?.. Autori come Stephen King, o John Grisham, per me, fanno di sicuro lavorare altri al loro posto...
mercoledì 21 luglio 2010
L'Italia che verrà - 6 - La Repubblica Federale Italica

mercoledì 16 giugno 2010
L'Italia che verrà - 5 - Il centro sud

lunedì 14 giugno 2010
L'Italia che verrà - 4 - Ancora il Nord

Un'altra questione importante si aprì nel 2035, a 6 anni dalla costituzione dell'Unione delle Libere Province Padane, con la Provincia di Venezia. Nel 2028, pochi mesi prima del blocco del sistema ferroviario, era stato completato il Mose ed era stato affidato ad una multinazionale olandese il plurimilionario contratto di gestione e manutenzione delle paratie mobili. La Provincia di Venezia, subentrata al Ministero delle Infrastrutture nei rapporti con il gestore, nel giro di pochi anni non fu più in grado di onorare il contratto che fu rescisso unilateralmente affidando l'appalto alla Cooperativa Gondolieri che si impegnò ad assumere il personale tecnico per la gestione e la manutenzione degli impianti. La necessità di ridurre le spese obbligò la cooperativa ad una seri di avvicendamenti del personale che portò fuori dalle strutture i tecnici olandesi sostituiti con ex gondolieri anziani nel ruolo via via di responsabile delle emergenze, capo manutentore, ecc.
Nella notte di Natale del 2035 si trovò nella sala controllo Bepi Piccioni che, prossimo alla pensione era stato messo lì con il compito di chiamare l'ingegnere capo in caso di allarme. Purtroppo l'allarme arrivò annunciando una delle più grandi maree della storia accompagnata da una grande alluvione. Il Bepi fece il possibile, chiamò l'ingegnere capo ma, vuoi le linee disturbate, vuoi il dialetto venexiano stretto al quale l'ingegnere capo di origini olandesi non era avvezzo, commise una serie di errori consecutivi ai comandi degli impianti che l'acqua alta sommerse Venezia per 15 giorni e tutte le paratie del Mose risultarono gravemente danneggiate.
Si registrarono danni enormi a tutte le strutture cittadine, il ponte di Rialto danneggiato, i moli distrutti, la Basilica devastata. L'amministrazione Provinciale dichiarò il proprio totale dissesto finanziario e chiese l'aiuto dell'Unione, che però, in una memorabile assemblea dei Capitani delle Province ( i Presidenti avevano cambiato il nome in Capitano della Provincia), a maggioranza, con le solo Province venete contrarie, decisero di abbandonare al suo destino la città di Venetia (già Venezia) assicurando un aiuto individuale agli abitanti che avessero scelto di evacuare la città (priva ormai di servizi pubblici) per trasferirsi nell'entroterra. Già nel 2037 la città e la laguna, devastate dalle maree e dai saccheggi, avevano assunto un'aspetto spettrale, molti alberghi erano divenuti alloggi per la criminalità o depositi per merci di contrabbando.
Grazie all'interessamento di alcune personalità pubbliche ed allo Stato Italiano, il quale però non aveva più titolo ad intervenire direttamente rimanendo la Provincia di Venezia territorio dell'Unione delle Libere Province nel frattempo rinominata Longobardia (in memoria dei mitici Longobardi), l'ONU intervenne a tutela del patrimonio culturale della città procedendo all'invio di 3000 caschi blu con il compito di prendere il controllo di tutti gli edifici pubblici e costituire una struttura amministrativa straordinaria in grado di procedere alla riparazione del Mose ed alla ricostruzione delle strutture di servizio, il tutto per permettere il ritorno degli abitanti e la riapertura delle attività turistiche e commerciali. Nel 2041 a capo dell'amministrazione straordinaria l'ONU pose un italo-americano di origini venete, un certo Mark Polo.
Scendendo più a Sud un discorso a parte merita la ex Regione Toscana che aveva lamentato subito dopo la secessione del 2028 la necessità di una maggiore autonomia nei confronti dello Stato Italiano. Conti alla mano l'Amministrazione regionale aveva dimostrato la sua sostanziale autonomia finanziaria trovandosi in un condizione di indifferenza rispetto ai contributi di solidarietà versati allo Stato e che venivano poi restituiti alla Regione in favore di alcuni comuni montani. Lo Stato italiano, allo scopo di evitare ulteriori secessioni, concesse una assoluta autonomia alla Regione in cambio del riconoscimento della sovranità territoriale e della compartecipazione alle spese di difesa e di politica estera. Di fatto a fronte del pagamento di una quota annuale la Toscana aveva acquistato una totale indipendenza politica e amministrativa. Questa indipendenza e la presenza in costante aumento di cittadini inglesi o di origine britannica portò la Regione a stringere una serie di accordi con la Gran Bretagna finalizzati ad agevolare gli investimenti anglosassoni sul territorio. I massicci investimenti, la presenza di molti cittadini anglo-toscani (la regione istituì una cittadinanza toscana), l'uso dell'inglese nella quasi totalità degli scambi commerciali, nel giro di vent'anni ha trasformato la Toscana in una regione del vecchio Commonwealth britannico che, nel frattempo, era tornato in auge come club commerciale con fini protezionistici per combattere l'espansionismo cinese. L'appartenenza della Tuscany (Toscana) al Nuovo Commonwealth aveva in breve costretto, grazie ad un sistema di controlli sui traffici commerciali mondiali e sulla qualità dei prodotti impiegati, gli investitori cinesi ad abbandonare la regione. Le manifatture cinesi vennero presto riconvertite da investitori inglesi alla lavorazione di tessuti pregiati e lane australiane. Ci furono conflitti con la comunità cinese e molti operai cinesi perso il lavoro furono rimpatriati, altri invece andarono ad ingrossare le comunità insediatesi nel mezzogiorno attorno ai porti di Napoli e di Bari. (segue)
giovedì 10 giugno 2010
L'Italia che verrà - 3 - Il Nord

Ecco un primo approfondimento sul Nord del paese (anche la cartina è più leggibile).
Qualche premessa.
A seguito della trasformazione in stato federale completata nel 2020 tutte le regioni italiane si trovarono ad affrontare seri problemi di bilancio. Il federalismo fiscale, inizialmente strutturato su base regionale, fu - specialmente al nord - decentralizzato affidando ai Comuni (alle esattorie comunali privatizzate) l'accertamento e la riscossione di tutte le imposte e tasse. Sulle prime il sistema di trasferimenti verso lo Stato centrale sembrava funzionare ma dopo un paio d'anni tutte le amministrazioni - anche a causa di gestioni allegre - si trovarono impossibilitate a trasferire i fondi allo Stato centrale per evidenti indisponibilità di cassa.
La mancanza di fondi creò gravi problemi alle amministrazioni statali che sulle prime bloccarono i trasferimenti "di solidarietà" diretti alle amministrazioni sofferenti e successivamente chiusero (ridussero) progressivamente tutte le strutture centrali sul territorio (caserme, prefetture, uffici periferici).
In molti comuni del nord, più ricchi, prese piede l'idea che al posto dello Stato Centrale, non più in grado di erogare molti servizi collettivi, sarebbe stato più conveniente organizzare delle strutture intercomunali - aggregati di Comuni - per la gestione degli interessi collettivi.
Nel 2028 il sistema ferroviario, la cui gestione era divenuta difficile e conflittuale essendo stata frazionata su più livelli amministrativi (la rete allo Stato, le stazioni e le biglietterie - ma non tutte - ai Comuni, i treni alle Regioni, le manutenzione ad associazioni di privati o a multinazionali) collassò a causa di un incidente nella stazione di Bologna. i conflitti a livello decisionale causarono il blocco del traffico ferroviario per 20 giorni, ci furono sommosse di pendolari costretti a fare ricorso a soluzioni alternative approntate dai singoli Comuni e anche da privati che, nell'emergenza, avevano ottenuto la liberalizzazione assoluta del servizio di trasporto (taxi e pullman). Dopo 15 giorni di blocco totale la maggior parte dei Comuni del nord con a capo quello di Bologna decisero di nominare una consulta di esperti e di istituire un fondo di emergenza necessario per pagare i debiti ed eseguire quei lavori strettamente necessari per far ripartire i treni. Da quel momento i Comuni del nord bloccarono tutti i trasferimenti allo Stato centrale impegnadosi però a garantire a tutte le strutture centrali esistenti sul territorio i fondi necessari per il funzionamento a partire dagli stipendi. Fu di fatto la secessione delle amministrazioni comunali dallo Stato centrale. L'anno dopo, nel 2029, i comuni della Lombardia si costituirono come Libere Unione di Comuni su base provinciale. Le province successivamente si confederarono come Libera Unione di Province Padane alla quale aderirono progressivamente la maggior parte delle province del nord del paese, quelle del Piemonte prima, poi il Veneto e la Liguria. L'Emilia Romagna ne uscì malconcia in quanto riemersero a livello locale campanilismi storici e conflitti tali che la posizione di molti Comuni non fu subito chiara. Il Comune di Bologna che pure aveva capeggiato la rivolta non era intenzionato a sganciarsi dal resto del paese anche per conservare quel ruolo che la posizione geografica gli aveva nei secoli assicurato. I Comuni dell'Emilia che inizialmente avrebbero voluto aderire alla Libera Unione si trovarono fisicamente impossibilitati a farlo dalla chiusura dei ponti sul Pò la cui gestione (molto onerosa) era rimasta al Stato centrale che, come risposta, aveva immediatamente imposto un forte pedaggio al transito degli abitanti dei Comuni della Libera Unione. Altre province del nord preferirono invece avviare con gli Stati confinanti una serie di trattative finalizzate alla progressiva integrazione dei loro territori con le amministazioni dei territori limitrofi e storicamente vicini per lingua e tradizioni.
Furono necessari molti anni ma tra il 2035 e il 2040 prima l'Alto Adige poi la Valle d'Aosta ed infine una parte dei comuni del Friuli tra cui Triste divennero nell'ordine territorio austriaco, francese e sloveno. (segue)
L'Italia che verrà -2
Ho preparato una mappa del nostro paese tra 40 anni....

seguono approfondimenti.

venerdì 21 maggio 2010
L'Italia che verrà
Prendo spunto dalla recente approvazione del federalismo demaniale per avviare una riflessione sul futuro del nostro paese. Mi ripeto e ripeto spesso che il disegno che sembra delinearsi nel combinato disposto delle intenzioni della Lega, del sostanziale assenso della sinistra e della connivenza delle regioni meridionali, e quello di un'Italia in un assetto pre-unitario quasi a cancellare 150 anni e più di storia.
Cos'è una nazione ? Un popolo, un territorio, una sovranità, una storia, un lingua, un ordinamento giuridico. Si potrebbe dissertare su ognuno di questi concetti per definire lo stato nazionale e molti hanno studiato come nascono le nazioni, le loro finalità, i loro meriti e demeriti. E' solo il caso di ricordare che i "padri della patria", i vari Mazzini, Garibaldi, Cavour ecc. non fossero proprio degli stupidi e che avessero più che valide ragioni per la costruzione dell'Italia unita, che non si limitavano al semplice desiderio di casa Savoia di ampliare i suoi domini, ma facevano riferimento ad una serie di condizioni che imponevano al nostro paese di trovare una sua struttura unitaria, una sua massa critica, in grado di dialogare alla pari con gli altri stati nazionali che si andavano via via assestando.
Del resto il territorio italiano è da sempre ben definito. Separato dal resto d'Europa a nord dalle Alpi ed altrove dal mare, l'Italia ha - anche geograficamente - una sua ragion d'essere.
Ma ormai questa idea sembra essere superata e nel nord del paese, sondaggi e risultati elettorali alla mano, il modello secessionista Leghista sembra aver preso il sopravvento e quindi nel futuro tutto sembra destinato a cambiare. Parlo di modello secessionista perché il faro che guida la politica della Lega è in fondo (il primo amore non si scorda mai) la secessione, nel senso di creazione di una nazione-stato distinto dal resto della penisola con il fiume Pò suo confine naturale a sud.
Questa ambizione è conseguenza di un percorso storico che ha visto, anche grazie all'unità d'Italia, attraverso l'industrializzazione e le favorevoli condizioni geografiche, la disponibilità di manodopera meridionale facilmente (anche se non immediatamente) integrabile, uno sviluppo economico particolarmente forte delle regioni del nord a fronte di un grande ritardo delle regioni del sud a prevalente vocazione agricola. Il paese vanta quindi un nord ricco e benestante che sopporta e supporta (così si dice) un sud povero ed arretrato che nonostante la generosità delle regioni ricche non riesce a sollevarsi dalla sua misera condizione.
Il bisogno delle regioni ricche di liberarsi di chi si avvantaggia di una condizione parassitaria è assolutamente ragionevole e quindi la secessione, la separazione, quell' ognuno per la sua strada che si dicono i coniugi dopo il divorzio, sembra essere del tutto comprensibile.
L'idea di secessione è ovviamente contrastata da chi invece - rifacendosi alla storia - vede nell'idea di aggregazione, nella forza del numero, dei vantaggi in grado di superare le differenze tra uomini, territori e risorse. Chi ha sognato e sogna un'Europa politicamente unita, un grande nazione Europea, non può che ritenere l'aspirazione all'autonomia, all'indipendenza, solo il retaggio di un antico passato - medioevale come approccio - che crede di saper e poter gestire il suo feudo anche in barba all'imperatore, grazie ad alte mura ed ad un "fedele" esercito di mercenari (non ha caso la Lega fa continuo riferimento ad un momento storico che è tardo-mediovale o pre-comunale, ovvero un periodo che ricorda la situazione attuale, territori ricchi che vogliono autogovernarsi ed affrancarsi dall'impero che parassita risorse).
Quindi sembra proprio che, mascherata da federalismo (che poi federalismo non è perché il federalismo è l'unione di più stati per fini comuni), assisteremo ad una secessione di fatto o meglio ad una "esplosione" del paese in 21 staterelli tenuti insieme da una "costituzione federale" che sarà la vecchia e amata costituzione italiana ampiamente riveduta e corretta.
Con il federalismo demaniale - il primo passo - la questione "territorio" sembra risolta in parte.
Ci saranno contenziosi in futuro, questo è certo, ma il fatto che la regione disponga di un proprio demanio, di propri beni pubblici, è un segnale molto forte. Il fatto che il Pò rimanga in qualche modo "extraterritoriale" in quanto "statale" ricorda non poco il regime di extraterritorialità che riguarda il Danubio, fiume su quale si affacciano più nazioni.
L'approccio regional-nazionale (come potremmo forse definire un regionalismo spinto, per certi aspetti xenofobo) sarà in futuro portatore di conflitti spesso irrisolvibili. Già oggi ne abbiamo un assaggio quando lo stato "centrale" emana norme, che in qualche modo riguardano l'autonomia (la sovranità) regionale, subito partono ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione, competenza, ecc.
Stabilire, non solo nelle materie concorrenti ma in tutta la sfera pubblica, dove arriva lo stato centrale e dove quello regionale diverrà via via più complesso.
Il federalismo fiscale, che dovrebbe concedere autonomia impositiva e responsabilizzare nell'utilizzo delle risorse, rischia di rivelarsi anche per le regioni più ricche un terribile boomerang.
La tassazione è una "imposizione" nel senso che un'autorità più forte "impone" il suo volere ed "esige" il versamento di somme per scopi vari e non sempre ben giustificati agli occhi del "tassato" (il termine contribuente è solo più elegante). Per far pagare le tasse occorre forza, si deve essere grandi e grossi e poter contare su amici ancora più forti (essenzialmente un esercito). Se qualcuno non intende pagare le tasse lo Stato ricorre alla forza per farle pagare o comunque interviene (è il caso del crimine organizzato) per impedire o interrompere attività svolte e flussi di denaro che sfuggano al suo controllo.
Come spera un'Amministrazione Regionale di combattere l'evasione, la criminalità affaristica, senza avere a disposizione dei funzionari, un piccolo esercito, in grado di intervenire. Tra l'altro dovendo evitare quei fenomeni di "sub-corruzione" che, nelle piccole comunità, sono più facili ed incontrollabili. In un piccolo paese, un vigile non è in grado di fare multe ai suoi concittadini (non è carino e non e simpatico) e si concentra sui forestieri. Per questo motivo i carabinieri di prima nomina non possono lavorare nei paesi di origine, la loro funzione di "soggetti terzi" ne risulterebbe sminuita; potrebbero avere un occhio di riguardo con i compagni di scuola.
Le Regioni dovranno affiancare alle strutture regionalizzate dell'attuale Agenzia delle Entrate un sistema di esazione del tutto simile a quello nazionale (Equitalia, Commissioni Tributarie, ecc.) ma regionalizzato se non vorranno che fare continuo ricorso allo Stato Centrale (con i suoi tempi). Uno Stato centrale tra l'altro sempre meno interessato a svolgere il ruolo del "cattivo conto terzi" e la cui centralità è e sarà continuamente messa in discussione.
Se per lo Stato centrale è difficile riscuotere le imposte per uno stato parcellizzato diverrà quasi impossibile e sarà costretto a far pagare di volta in volta i singoli servizi per garantire il funzionamento delle strutture pubbliche, con un venir meno di quei servizi totalmente pubblici che non è agevole sottoporre a tariffa (come la pulizia delle strade, la loro manutenzione, ecc.).
Un grosso passo indietro nella storia.
In Bulgaria, dove non navigano nell'oro ed il sistema fiscale non è del tutto funzionante (anche perché prima - con il comunismo - quasi non esisteva), la manutenzione dei marciapiedi è affidata ai negozianti con il risultato che i marciapiedi sono un patchwork assurdo di materiali (con qualche buca qua e la).
Ho paura che si finirà anche da noi, in qualche quartiere, a dover rinunciare del tutto ai marciapiedi.....
giovedì 6 maggio 2010
Il FederEGOISMO fiscale
Si parla tanto di federalismo fiscale come una riforma fondamentale del paese utile a tutti, nord e sud, ricchi e poveri, fessi e furbi.
Non è così. Il federalismo fiscale è solo un espediente per agevolare la "secessione di fatto" del paese in corso ormai da qualche anno.
Dimenticate le sofferenze della guerra (quanti sono ormai gli italiani che hanno vissuto l'ultima guerra.. sempre meno) la generazione del boom economico e i loro figli non hanno conservato quasi nulla di quella solidarietà che univa il paese uscito dal fascismo. Hanno dimenticato che i genitori (o i nonni) erano emigranti e che la loro ricchezza e la loro fortuna ha origini tra le arance della Sicilia, tra le pecore della Sardegna e - perché no - tra le mucche della maremma o in qualche malga sperduta in mezzo alle montagne del trentino (perché anche nelle zone più ricche i poveri e deboli non sono mai mancati). E così al diavolo la solidarietà, la ridistribuzione, la considerazione ed il rispetto per i più deboli, i soldi del nord devono rimanere al nord, il nord ne ha bisogno per la gente.
Che ci faranno con tutti questi soldi non si sa. Tutti dicono che al nord si vive bene, la sanità funziona, il lavoro abbonda, i soldi non mancano, il consumi lievitano. Punteranno forse ad avere strade lastricate d'oro, stipendi lussemburghesi, fuoriserie al posto delle utilitarie, mendicanti in livrea (solo se mendicati padani che elemosinano in lumbard.... ovviamente).
A me questo federalismo sembra solo una bella botta di egoismo nudo e crudo, gente ricca che vuole tutto per se e guai a chi si avvicina. Ho già molto e voglio avere ancora di più.... se non è egoismo... è avidità.
martedì 20 aprile 2010
La cenere e i dirigibili

La cenere di un vulcano dal nome illeggibile e impronunciabile ha riportato l'Europa per qualche giorno indietro di 100 anni. Mentre sulle distanze brevi e medie non ci sono stati problemi, su tutti i voli - o meglio sui viaggi - internazionali si è assistito alla paralisi.Mi viene da pensare c
he la dimensione "nazionale" sia collegata essenzialmente ai mezzi di comunicazione. Quando un posto diventa "troppo lontano" o comunque troppo faticoso da raggiungere questo diventa un'altra cosa, un'altro luogo, una terra straniera. La globalizzazione è essenzialmente merito (o colpa) dell'aereo. Andare da Bruxelles a Roma - senza l'aereo - diventa improvvisamente un viaggio impegnativo, ci devi pensare due volte prima di intraprenderlo.
Possiamo immaginare - oggi - un mondo senza l'aereo ? E' immaginabile un mondo a velocità ridotta, dove l'America torna a essere veramente lontana ?
Forse è il caso di iniziare a pensarci. Abbiamo moto, auto e treni elettrici. L'elettricità si può produrre in vario modo. Ma di aerei elettrici - a parte i modellini - non sembra proprio se ne parli. Ci sono dei prototipi ad energia solare ma sono solo delle grosse zanzare se paragonate ad un Boing 747 o al nuovissimo Airbus 380 da quasi 1000 posti.
Avremo forse nel futuro transatlantici a propulsione nucleare (come i sottomarini) ma di aerei che non utilizzino il cherosene ancora non abbiamo notizie. E il petrolio finirà. O costerà troppo.
Si capisce che ho tanta nostalgia per i dirigibili ?
Vi ricordate il gigantesco GoodYear che passava su Roma quando eravamo piccoli ?
Silenzioso. Quasi fermo. Doveva essere bellisimo viaggiare in quel modo.
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