giovedì 16 settembre 2010

Monnezza. Come cominciare male la giornata

Questa va subito raccontata . Questa mattina, ore 7:00, pronto per uscire (mancava solo la giacca) mi dirigo in cucina per dare esecuzione all'ordine della consorte impartitomi prima di uscire presto: "ricordati di buttare la mondezza". Arrivo di fronte al secchio e noto che questo è particolarmente pieno. Faccio per sollevare la busta prendendola su due lati e mi accorgo che la busta sale mentre il contenuto tende a sprofondare all'intern0: - Cazzarola - penso - la busta è sfondata ! - Ma l'ingegnere non si perde d'animo e, recuperato il rotolo delle buste di plastica, srotolo veloce un'altra busta (uno strraap e via) e la colloco al rovescio sul secchio coprendo l'imboccatura della vecchia busta con l'intento di rovesciare con un movimento rapido tutto il contenuto del secchio nella nuova busta. Tragedia ! In realtà la busta nel secchio non era rotta.. era difettosa! E anche quella dopo nel rotolo aveva lo stesso difetto, non era sigillata in fondo, in pratica un tubo! Giuro, con il mio rapido movimento, HO RIEMPITO IL PAVIMENTO DELLA CUCINA ! Evito i dettagli (vasetti di yogurt, fusilli, un finocchio, bucce di pesca, ecc.ecc.) ma ho dovuto recuperare un'altra busta e, una volta verificato che questa non fosse difettosa, raccogliere il tutto a mano e procedere, consumando una quantità industriale di scottex a raccogliere il percolato fetido che tra l'altro aveva sporcato tutto il contenitore (ormai un puzzolente cassonetto domestico).. terribileeee!

lunedì 13 settembre 2010

L'Italia che verrà

Sto lavorando a L'Italia che verrà trasformandolo in una piccola pubblicazione. Sto riprendendo i testi del blog cercando di arrivare ad un testo coordinato e grammaticalmente accettabile. Non sta venendo male.. però che fatica !
Ma come fa certa gente a riempire pagine e pagine di storie ?.. Autori come Stephen King, o John Grisham, per me, fanno di sicuro lavorare altri al loro posto...

mercoledì 21 luglio 2010

L'Italia che verrà - 6 - La Repubblica Federale Italica

La riforma costituzionale del 2035 aveva nei fatti smembrato il paese lasciando alla Repubblica Federale Italica definita nella riforma costituzionale federale del 2020 solo i territori dell'appennino centrale e l'area metropolitana della capitale. Le regioni Umbria, Marche, Abruzzo e Molise erano rimaste integralmente parte della Repubblica mentre l'Emilia Romagna si era trovata divisa in due. L'appenino romagnolo - la Romagna - era rimasta in qualche modo fedele allo stato federale mentre i comuni dell'Emilia nella crisi del 2028 (tra l'altro con problemi all'interno delle amministrazioni provinciali) avevano per lo più optato per l'adesione alla Libera Unione delle Province Padane. L'amministrazione regionale con sede a Bologna dovette affrontare il problema della divisione all'interno del suo territorio risolvendolo in maniera quanto mai fantasiosa. Tutta la regione Emilia Romagna rimaneva parte della Repubblica Federale Italica ma i Comuni dell'Emilia godevano di uno speciale regime di extraterritorialità per il quale tutte le attività amministrative "ordinarie" erano riconducibili alla libera unione delle Province Lombarde (commercio, anagrafe, sanità, ecc.) mentre la gestione delle grandi infrastrutture e delle relazioni internazionali era rimasta nelle mani dell'Amministrazione Regionale che rimaneva comunque regione federata della Repubblica alla quale veniva riconosciuta comunque la gestione della difesa e della giustizia e gli introiti di un sistema di dazi e di pedaggi che era stato imposto al momento della secessione delle province del Nord. I territori dell'Emilia divennero quindi una sorta di strano protettorato della Repubblica Federale con forti legami con la Libera Unione delle Province Lombarde. Questa condizione si trasformò in breve in una fiscalità di vantaggio in quanto il sistema dei dazi e dei pedaggi ricadeva essenzialmente sulle imprese e i lavoratori dell'area lombarda con la conseguenza che la Transpadania divenne rapidamente una sorta di paradiso fiscale dove molti reati di natura tributaria non erano nemmeno perseguiti. La città di Bologna dove aveva sede l'amministrazione regionale federata accolse al suo interno anche le strutture amministrative dei comuni della transpadania (che altro non erano che le strutture dell'amministrazione provinciale di Bologna riconvertite ad amministrazione dei comuni transpadani). La coesistenza all'interno della città delle due strutture e quindi del personale delle due amministrazioni (ma anche alcune strutture dell'università e molte scuole superiori ed un ospedale erano rimasti sotto l'amministrazione ex provinciale) comportava la coesistenza di regimi giuridici diversi tra i cittadini della Repubblica Federale e e quelli della Transpadania i quali in generale erano tenuti al rispetto della normativa della Libera Unione. La città di Bologna divenne quindi già dal 2030 un territorio in cui si riconosceva la doppia cittadinanza dei residenti che dovevano osservare la più restrittiva tra le normative applicabili ma potevano godere dei servizi di entrambe le amministrazioni li dove fossero ancora presenti delle duplicazioni. Per esempio la libera Unione delle Province (poi Longobardia dal 2035) aveva vietato sia i matrimoni gay che quelli interconfessionali (che invece erano rimasti ancora possibili nella Repubblica Federale) e quindi a Bologna non era possibile celebrarli; in caso di malattia si poteva far ricorso sia all'ospedale Federale che a quello Longobardo (più moderno ed elegante) ma quest'ultimo era da preferire solo per i casi meno gravi per la scarsa attenzione che veniva prestata ai malati terminali (frequenti le pratiche libera-letto al limite dell'eutanasia). Per l'università, allo scopo di evitare forme di concorrenza al ribasso (due esami al prezzo di uno ecc.) si era stati costretti a stabilire un regime di mobilità assoluta degli studenti che vantavano il mutuo riconoscimento di tutti gli esami sostenuti sulla base di un sistema di crediti fissati da una commissione congiunta. Questo comportò da un lato che lo stesso esame valesse diversamente tra l'università federale e quella longobarda ma anche che si potessero sommare i crediti sostenendo due volte lo stesso esame nelle due facoltà (non proprio lo stesso, in genere cambiava la definizione della materia ed il testo di riferimento.. tipo Analisi Matematica e Analisi algebrica, Diritto civile e Diritto dei cittadini, ed altre " furbate" del genere). Mentre la ex Emilia Romagna viveva al suo interno questa grave divisione le altre regioni erano riuscite a conservare essenzialmente intatte le strutture amministrative definite con la riforma federale del 2020. Risultò fondamentale in queste regioni la tradizione storica che riconosceva ai "marchigiani" la funzione di esattori delle imposte. Furono infatti le Marche a definire per prima tra le regioni un sistema esattoriale che abolendo il sistema dell'auto-dichiarazione affidava ad un corpo scelto di esattori armati la funzione dell'accertamento e dell'incasso di tasse e imposte. Ci furono invero alcuni episodi disdicevoli, qualche fenomeno di vessazione nei confronti di ex mogli o di rivali in amore, ma la riforma portò il livello di evasione fiscale ad uno 0,1% riconducibile esclusivamente ad errori di trascrizione dei documenti contabili. A Roma l'Amministrazione Centrale visto il successo della riforma emanò delle linee guida di indirizzo (non avendo più potestà legislativa nella materia) che furono recepite dall'Umbria, dall'Abruzzo e dal Molise che ne ebbero i medesimi vantaggi. Anche il Lazio fece propria la normativa ma la sua applicazione trovò delle difficoltà aggiuntive per il fatto che la selezione dei corpi d'élite fiscale, vista la numerosità delle domande presentate, fu particolarmente farraginosa. Questo fu probabilmente dovuto al fatto che per evitare qualsiasi forma di corruzione era assicurato all'esattore una percentuale consistente dell'incasso e la concentrazione nella capitale di redditi medio alti avrebbe garantito all'esattore incassi dieci o venti volte superiori alla media che pure era molto elevata. Nel 2035 , l'anno dello smembramento, gli unici sistemi fiscali funzionanti ed identici erano quelli delle regioni della Repubblica Federale Italica che vantava il forte coordinamento delle storiche strutture amministrative insediate nella capitale. Al Nord la Longobardia aveva nel frattempo abolito le imposte dirette utilizzando un sistema basato solo sulle tariffe per i servizi e su imposte indirette applicate sulle transazioni finanziarie. In pratica i servizi pubblici venivano finanziati attraverso il pagamento diretto a tariffa del servizio con sconti per i meno abbienti. I fondi necessari per le politiche di minima solidarietà erano costituiti da un sistema di raccolta di offerte volontarie (molto molto povero di fondi) e da un prelievo sulle transazioni bancarie del 2% su ogni operazione (accompagnato dal divieto dell'utilizzo di contanti per importi superiori ai 10 €). Mentre per i piccoli importi il 2% poteva considerarsi irrisorio per i grandi importi costituiva un valore consistente e si iniziarono ad affermare dei sistemi di pagamento alternativi detti "contratti di scambio" non espressamente vietati dalla normativa e che si possono ricondurre - in forma più elaborata - al baratto delle merci di antichissima memoria. Al Sud e nelle isole dove le amministrazioni regionali non erano state in grado neanche di abbozzare una riforma fiscale, erano quindi rimaste in vigore le stesse norme del 2020 (che altro non erano che quelle dell'ultimo federalismo fiscale del 2012) assolutamente inadatte a gestire localmente il sistema del prelievo fiscale per l'impossibilità materiale di applicare qualsiasi sanzione agli evasori. Nel giro di pochi anni le esattorie comunali avevano accumulato in queste regioni una quantità di cartelle esattoriali (tra multe, tassa rifiuti ed imposte varie) inevase pari a circa 5 volte il numero degli abitanti con un conseguente tracollo del gettito e le conseguenze a cui ho già accennato. (segue)

mercoledì 16 giugno 2010

L'Italia che verrà - 5 - Il centro sud

Riprendiamo la narrazione della storia d'Italia futura scendendo lungo lo stivale. Al centro della penisola, dopo la secessione delle province del Nord, la Repubblica Italiana vedeva ricondotti i suoi confini grosso modo all'antico Stato della Chiesa ed al Regno delle due Sicilie (configurazione pre-unitaria) con le Regioni del sud e le isole maggiori, Sardegna e Sicilia, in preda ad una profonda crisi economica. Essendosi progressivamente ridotti negli anni i trasferimenti di fondi dalle Regioni del Nord a quelle del Sud tutto il mezzogiorno dovette affrontare il progressivo impoverimento di tutte le aree agricole periferiche. Prima le aree montuose, poi le collinari ed infine le suburbane vennero abbandonate o cedute dai piccoli proprietari per finanziare l'emigrazione verso nord o verso paesi esteri di interi nuclei familiari. Già nel 2030 i territori si erano talmente impoveriti che il gettito fiscale Regionale, da sempre insufficiente, si era talmente ridotto che il 70% dei comuni aveva dichiarato bancarotta ed era stato sottoposto all'amministrazione di Commissari Regionali i quali erano stati costretti a lincenziare definitivamente (non potendo pagare gli stipendi) i dipendenti comunali autorizzandoli nel contempo a gestire in forma privatistica i servizi pubblici dietro pagamento di una tariffa concordata a livello regionale. I dipendenti in un primo momento si organizzarono in forme cooperative ma ben presto la necessità di capitali per garantire il funzionamento delle strutture aveva visto l'intervento diretto di famiglie benestanti (alcune con una storia di criminalità alle spalle) che da appaltatori dei servizi si trasformarono in "gestori" assumendo gli ex dipendenti comunali e riferendo direttamente ai vari Commissari Regionali. Il potere dei gestori privati divenne via via più ampio tanto che la nomina a Commissario Regionale in un determinato Comune doveva trovare in qualche modo l'approvazione dei "gestori" se non essere addirittura un loro diretta espressione. Si formarono in qualche caso anche delle forme di gestione intercomunale, come nel caso dei Comuni della Provincia di Caserta, che per primi vantarono un unico gestore dei servizi di Polizia Municipale, talmente potente da acquisire la gestione del servizio anche in molti comuni della provincia di Frosinone. Dal 2032 tutto il traffico delle zone agricole del basso Lazio e del casertano era sotto il controllo diretto del comando dei Vigili (ribattezzati Vigilanti) con sede a Casal di Principe che, con lo scopo di agevolare il traffico, dispose con tanto di determina vistata dal Commissario Regionale lo smantellamento di tutti gli impianti semaforici, l'eliminazione della segnaletica, e l'installazione di speciali autovelox a velocità minima in grado di multare chi viaggiasse a bassa velocità. Nel contempo venne meno anche l'obbligo di assicurazione dei veicoli, non in questo caso per una decisione politica, ma per il fatto che nessuna compagnia di assicurazione era disposta ad assicurare veicoli della zona o che avrebbero dovuto attraversarla. Nel giro di pochi anni tutto il mezzogiorno vide la comparsa di una amministrazione diretta delle funzioni pubbliche da parte di Commissari Regionali che sovraintedevano l'attività di più soggetti privati incaricati di tutti i servizi pubblici con il risultato che nel giro di un paio di tornate elettorali vennero a coincidere la figura di Consigliere regionale e quella di Commissario, tanto che le assemblee regionali si trasformarono in camere commissariali che eleggevano al loro interno un presidente con ruolo di Governatore Regionale ed una giunta esecutiva nella quale gli assessori, ormai privi di un potere reale, si limitavano al coordinamento settoriale evitando tra l'altro (cosa che era già successa) che in comuni limitrofi ma soggetti a due diversi gestori dei servizi educativi la durata degli studi ed il loro ordinamento fossero diversi (nella Provincia di Salerno, in cambio del raddoppio delle rette, il liceo Classico era stato ridotto a due anni di durata e si era tentato di abolire l'esame finale - il tutto nei limiti, invero molto larghi, dell'autonomia propria del gestore dei servizi). Mentre le Regioni del sud, forti della loro autonomia federale, trasformavano le loro amministrazioni, lo Stato Centrale combatteva privo di armi una battaglia ormai persa in partenza per l'impossibilità di sanzionare i comportamenti difformi delle amministrazioni locali. Tutte le direttive, i pareri, le leggi di indirizzo, divenivano in breve lettera morta o tutt'al più utili linee guida. Tra l'altro queste attività gravavano economicamente di fatto su quelle poche regioni dell'appenino centrale e sull'aerea romana che erano rimaste assolutamente fedeli al sistema federale definito con la riforma costituzionale del 2018 e che quindi versavano regolarmente la loro quota federale. Come conseguenza di ciò le strutture amministrative dello Stato Centrale divennero essenzialmente delle strutture interregionali di coordinamento a servizio delle Regioni interessate a non disperdere il patrimonio di competenze che si concentrava nei palazzi della capitale. Le regioni del mezzogiorno furono quindi in pratica abbandonate dall'amministrazione centrale che già nel 2030, allo scopo di limitare l'immigrazione dal sud e conservare l'occupazione nella capitale, aveva limitato l'accesso agli impieghi pubblici ai soli residenti della'area romana ed a dei contingenti delle Regioni dell'appennino (Marche, Umbria, Abruzzo e Molise, Romagna). Rimaneva però la necessità delle regioni del mezzogiorno di una qualche forma di coordinamento ed allora venne istituita su iniziativa dei Governatori di Campania, Puglia, Calabria e Basilicata una struttura amministrativa formata essenzialmente dalle ex Prefetture (già da qualche anno i prefetti non venivano più nominati per mancanza di fondi ed anche perchè - se in contrasto con i Commissari Regionali - veniva meno loro qualsiasi possibilità di operare o sopravvivere). Si decise poi che le ex prefetture venissero coordinate da una struttura centrale con sede a Napoli con a capo - a turno - uno dei Governatori la cui carica durava un anno. Nel 2035 la situazione politica si era fatta insostenibile e su iniziativa della Camera delle Regioni, o meglio di quello che ne restava con l'uscita avvenuta negli anni precedenti delle Regioni del nord, fu approvata una riforma costituzionale che con l'intento si salvare se non altro i fondamentali economici della penisola, ovvero la tutela del sistema degli scambi commerciali, i rapporti interbancari, la giustizia civile e la sicurezza pubblica. La riforma riconosceva lo status quo e prendeva atto delle scelte autonomiste della Sicilia e della Sardegna che venivano riconosciuti come stati autonomi al di fuori della Repubblica Federale Italica, che però conservavano con la Repubblica "madre" rapporti commerciali ed istituzionali stabili regolati da un apposito trattato internazionale di "affiliazione" alla Repubblica. Il Trattato conteneva sia il recepimento della vecchia normativa italiana (per assicurare continuità del diritto nei neonati stati) sia alcuni accordi in materia di difesa (utilizzo di porti, aereporti, ecc.). Alle regioni del mezzogiorno che si erano date una propria organizzazione amministrativa interregionale fu riconosciuto un livello di autonomia assolutamente paragonabile a quello delle neonate nazioni di Sicilia e Sardinia e venne riconosciuta l'esistenza della Confederazione delle Regioni del Sud con una propria autonomia costituzionale di stato confederale. Le Regioni del Sud si autoconvocarono in un sorta di assemblea costituente composta da tutti i consiglieri dei parlamenti regionali e deliberarono la costituzione della Confederazione del Sud approvando nel dicembre 2035 un trattato interregionale con valore di costituzione confederale che collocava la capitale confederale a Napoli, già centro amministrativo interregionale. (segue)



lunedì 14 giugno 2010

L'Italia che verrà - 4 - Ancora il Nord

Torniamo alla nostra storia sull'Italia del futuro, quella che ci attende da qui a quarant'anni (ogni riferimento a persone e cose è puramente casuale). Eravamo rimasti che le province più periferiche del bilinguismo avrebbero ottenuto il tanto atteso riconoscimento della loro appartenenza agli altri Stati confinanti tutte entro il 2040. Altre zone di confine avevano percorso sorti simili. In particolare le province più a nord del Piemonte, la val d'Ossola, che risultava collegata naturalmente con la Svizzera decisero si associarsi al Canton Ticino di fatto ampliando notevolmente il territorio della Svizzera. La Svizzera quindi, anche attraverso la volontà di alcuni altri Comuni (Chiasso uno dei primi) di conservare una particolare autonomia fiscale distinta da quella delle altre Province aveva già nel 2035 il controllo delle sponde dei grandi laghi ex lombardi. Qualcosa di simile avvenne in Liguria con alcuni Comuni della riviera di ponente che nel 2030, Sanremo tra tutti, decisero di fare proprio il regime fiscale del Principato di Monaco e non aderirono alla Libera Unione delle Province Padane. In qualche anno l'afflusso di capitali da tutta Europa garantì una ricchezza economica tale che volontariamente, con un plebiscito, i Comuni della Liguria occidentale scelsero di essere annessi ai territori del Principato di Monaco ribattezzato subito dopo Grande Principato di Monaco e Sanremo. Il Principato nel frattempo, per la mancanza di eredi legittimi della casa Grimaldi, si era trasformato in sorta di monarchia elettiva (simile allo Stato della Chiesa) nella quale i maggiorenti del Principato indicavano, in genere tra gli anziani, un reggente con incarico a vita. Nel 2035 era stato elevato a rango di Principe protempore con il nome di Silvius I il ricchissimo Piersilvio Berlupponi che aveva erediato le fortune della famiglia dopo la morte, in due distinti e misteriosi incidenti aerei, dei suoi fratelli e dei loro congiunti.
Un'altra questione importante si aprì nel 2035, a 6 anni dalla costituzione dell'Unione delle Libere Province Padane, con la Provincia di Venezia. Nel 2028, pochi mesi prima del blocco del sistema ferroviario, era stato completato il Mose ed era stato affidato ad una multinazionale olandese il plurimilionario contratto di gestione e manutenzione delle paratie mobili. La Provincia di Venezia, subentrata al Ministero delle Infrastrutture nei rapporti con il gestore, nel giro di pochi anni non fu più in grado di onorare il contratto che fu rescisso unilateralmente affidando l'appalto alla Cooperativa Gondolieri che si impegnò ad assumere il personale tecnico per la gestione e la manutenzione degli impianti. La necessità di ridurre le spese obbligò la cooperativa ad una seri di avvicendamenti del personale che portò fuori dalle strutture i tecnici olandesi sostituiti con ex gondolieri anziani nel ruolo via via di responsabile delle emergenze, capo manutentore, ecc.
Nella notte di Natale del 2035 si trovò nella sala controllo Bepi Piccioni che, prossimo alla pensione era stato messo lì con il compito di chiamare l'ingegnere capo in caso di allarme. Purtroppo l'allarme arrivò annunciando una delle più grandi maree della storia accompagnata da una grande alluvione. Il Bepi fece il possibile, chiamò l'ingegnere capo ma, vuoi le linee disturbate, vuoi il dialetto venexiano stretto al quale l'ingegnere capo di origini olandesi non era avvezzo, commise una serie di errori consecutivi ai comandi degli impianti che l'acqua alta sommerse Venezia per 15 giorni e tutte le paratie del Mose risultarono gravemente danneggiate.
Si registrarono danni enormi a tutte le strutture cittadine, il ponte di Rialto danneggiato, i moli distrutti, la Basilica devastata. L'amministrazione Provinciale dichiarò il proprio totale dissesto finanziario e chiese l'aiuto dell'Unione, che però, in una memorabile assemblea dei Capitani delle Province ( i Presidenti avevano cambiato il nome in Capitano della Provincia), a maggioranza, con le solo Province venete contrarie, decisero di abbandonare al suo destino la città di Venetia (già Venezia) assicurando un aiuto individuale agli abitanti che avessero scelto di evacuare la città (priva ormai di servizi pubblici) per trasferirsi nell'entroterra. Già nel 2037 la città e la laguna, devastate dalle maree e dai saccheggi, avevano assunto un'aspetto spettrale, molti alberghi erano divenuti alloggi per la criminalità o depositi per merci di contrabbando.
Grazie all'interessamento di alcune personalità pubbliche ed allo Stato Italiano, il quale però non aveva più titolo ad intervenire direttamente rimanendo la Provincia di Venezia territorio dell'Unione delle Libere Province nel frattempo rinominata Longobardia (in memoria dei mitici Longobardi), l'ONU intervenne a tutela del patrimonio culturale della città procedendo all'invio di 3000 caschi blu con il compito di prendere il controllo di tutti gli edifici pubblici e costituire una struttura amministrativa straordinaria in grado di procedere alla riparazione del Mose ed alla ricostruzione delle strutture di servizio, il tutto per permettere il ritorno degli abitanti e la riapertura delle attività turistiche e commerciali. Nel 2041 a capo dell'amministrazione straordinaria l'ONU pose un italo-americano di origini venete, un certo Mark Polo.
Scendendo più a Sud un discorso a parte merita la ex Regione Toscana che aveva lamentato subito dopo la secessione del 2028 la necessità di una maggiore autonomia nei confronti dello Stato Italiano. Conti alla mano l'Amministrazione regionale aveva dimostrato la sua sostanziale autonomia finanziaria trovandosi in un condizione di indifferenza rispetto ai contributi di solidarietà versati allo Stato e che venivano poi restituiti alla Regione in favore di alcuni comuni montani. Lo Stato italiano, allo scopo di evitare ulteriori secessioni, concesse una assoluta autonomia alla Regione in cambio del riconoscimento della sovranità territoriale e della compartecipazione alle spese di difesa e di politica estera. Di fatto a fronte del pagamento di una quota annuale la Toscana aveva acquistato una totale indipendenza politica e amministrativa. Questa indipendenza e la presenza in costante aumento di cittadini inglesi o di origine britannica portò la Regione a stringere una serie di accordi con la Gran Bretagna finalizzati ad agevolare gli investimenti anglosassoni sul territorio. I massicci investimenti, la presenza di molti cittadini anglo-toscani (la regione istituì una cittadinanza toscana), l'uso dell'inglese nella quasi totalità degli scambi commerciali, nel giro di vent'anni ha trasformato la Toscana in una regione del vecchio Commonwealth britannico che, nel frattempo, era tornato in auge come club commerciale con fini protezionistici per combattere l'espansionismo cinese. L'appartenenza della Tuscany (Toscana) al Nuovo Commonwealth aveva in breve costretto, grazie ad un sistema di controlli sui traffici commerciali mondiali e sulla qualità dei prodotti impiegati, gli investitori cinesi ad abbandonare la regione. Le manifatture cinesi vennero presto riconvertite da investitori inglesi alla lavorazione di tessuti pregiati e lane australiane. Ci furono conflitti con la comunità cinese e molti operai cinesi perso il lavoro furono rimpatriati, altri invece andarono ad ingrossare le comunità insediatesi nel mezzogiorno attorno ai porti di Napoli e di Bari. (segue)

giovedì 10 giugno 2010

L'Italia che verrà - 3 - Il Nord


Ecco un primo approfondimento sul Nord del paese (anche la cartina è più leggibile).
Qualche premessa.
A seguito della trasformazione in stato federale completata nel 2020 tutte le regioni italiane si trovarono ad affrontare seri problemi di bilancio. Il federalismo fiscale, inizialmente strutturato su base regionale, fu - specialmente al nord - decentralizzato affidando ai Comuni (alle esattorie comunali privatizzate) l'accertamento e la riscossione di tutte le imposte e tasse. Sulle prime il sistema di trasferimenti verso lo Stato centrale sembrava funzionare ma dopo un paio d'anni tutte le amministrazioni - anche a causa di gestioni allegre - si trovarono impossibilitate a trasferire i fondi allo Stato centrale per evidenti indisponibilità di cassa.
La mancanza di fondi creò gravi problemi alle amministrazioni statali che sulle prime bloccarono i trasferimenti "di solidarietà" diretti alle amministrazioni sofferenti e successivamente chiusero (ridussero) progressivamente tutte le strutture centrali sul territorio (caserme, prefetture, uffici periferici).
In molti comuni del nord, più ricchi, prese piede l'idea che al posto dello Stato Centrale, non più in grado di erogare molti servizi collettivi, sarebbe stato più conveniente organizzare delle strutture intercomunali - aggregati di Comuni - per la gestione degli interessi collettivi.
Nel 2028 il sistema ferroviario, la cui gestione era divenuta difficile e conflittuale essendo stata frazionata su più livelli amministrativi (la rete allo Stato, le stazioni e le biglietterie - ma non tutte - ai Comuni, i treni alle Regioni, le manutenzione ad associazioni di privati o a multinazionali) collassò a causa di un incidente nella stazione di Bologna. i conflitti a livello decisionale causarono il blocco del traffico ferroviario per 20 giorni, ci furono sommosse di pendolari costretti a fare ricorso a soluzioni alternative approntate dai singoli Comuni e anche da privati che, nell'emergenza, avevano ottenuto la liberalizzazione assoluta del servizio di trasporto (taxi e pullman). Dopo 15 giorni di blocco totale la maggior parte dei Comuni del nord con a capo quello di Bologna decisero di nominare una consulta di esperti e di istituire un fondo di emergenza necessario per pagare i debiti ed eseguire quei lavori strettamente necessari per far ripartire i treni. Da quel momento i Comuni del nord bloccarono tutti i trasferimenti allo Stato centrale impegnadosi però a garantire a tutte le strutture centrali esistenti sul territorio i fondi necessari per il funzionamento a partire dagli stipendi. Fu di fatto la secessione delle amministrazioni comunali dallo Stato centrale. L'anno dopo, nel 2029, i comuni della Lombardia si costituirono come Libere Unione di Comuni su base provinciale. Le province successivamente si confederarono come Libera Unione di Province Padane alla quale aderirono progressivamente la maggior parte delle province del nord del paese, quelle del Piemonte prima, poi il Veneto e la Liguria. L'Emilia Romagna ne uscì malconcia in quanto riemersero a livello locale campanilismi storici e conflitti tali che la posizione di molti Comuni non fu subito chiara. Il Comune di Bologna che pure aveva capeggiato la rivolta non era intenzionato a sganciarsi dal resto del paese anche per conservare quel ruolo che la posizione geografica gli aveva nei secoli assicurato. I Comuni dell'Emilia che inizialmente avrebbero voluto aderire alla Libera Unione si trovarono fisicamente impossibilitati a farlo dalla chiusura dei ponti sul Pò la cui gestione (molto onerosa) era rimasta al Stato centrale che, come risposta, aveva immediatamente imposto un forte pedaggio al transito degli abitanti dei Comuni della Libera Unione. Altre province del nord preferirono invece avviare con gli Stati confinanti una serie di trattative finalizzate alla progressiva integrazione dei loro territori con le amministazioni dei territori limitrofi e storicamente vicini per lingua e tradizioni.
Furono necessari molti anni ma tra il 2035 e il 2040 prima l'Alto Adige poi la Valle d'Aosta ed infine una parte dei comuni del Friuli tra cui Triste divennero nell'ordine territorio austriaco, francese e sloveno. (segue)

L'Italia che verrà -2

Ho preparato una mappa del nostro paese tra 40 anni....
seguono approfondimenti.


venerdì 21 maggio 2010

L'Italia che verrà

Prendo spunto dalla recente approvazione del federalismo demaniale per avviare una riflessione sul futuro del nostro paese. Mi ripeto e ripeto spesso che il disegno che sembra delinearsi nel combinato disposto delle intenzioni della Lega, del sostanziale assenso della sinistra e della connivenza delle regioni meridionali, e quello di un'Italia in un assetto pre-unitario quasi a cancellare 150 anni e più di storia.
Cos'è una nazione ? Un popolo, un territorio, una sovranità, una storia, un lingua, un ordinamento giuridico. Si potrebbe dissertare su ognuno di questi concetti per definire lo stato nazionale e molti hanno studiato come nascono le nazioni, le loro finalità, i loro meriti e demeriti. E' solo il caso di ricordare che i "padri della patria", i vari Mazzini, Garibaldi, Cavour ecc. non fossero proprio degli stupidi e che avessero più che valide ragioni per la costruzione dell'Italia unita, che non si limitavano al semplice desiderio di casa Savoia di ampliare i suoi domini, ma facevano riferimento ad una serie di condizioni che imponevano al nostro paese di trovare una sua struttura unitaria, una sua massa critica, in grado di dialogare alla pari con gli altri stati nazionali che si andavano via via assestando.
Del resto il territorio italiano è da sempre ben definito. Separato dal resto d'Europa a nord dalle Alpi ed altrove dal mare, l'Italia ha - anche geograficamente - una sua ragion d'essere.
Ma ormai questa idea sembra essere superata e nel nord del paese, sondaggi e risultati elettorali alla mano, il modello secessionista Leghista sembra aver preso il sopravvento e quindi nel futuro tutto sembra destinato a cambiare. Parlo di modello secessionista perché il faro che guida la politica della Lega è in fondo (il primo amore non si scorda mai) la secessione, nel senso di creazione di una nazione-stato distinto dal resto della penisola con il fiume Pò suo confine naturale a sud.
Questa ambizione è conseguenza di un percorso storico che ha visto, anche grazie all'unità d'Italia, attraverso l'industrializzazione e le favorevoli condizioni geografiche, la disponibilità di manodopera meridionale facilmente (anche se non immediatamente) integrabile, uno sviluppo economico particolarmente forte delle regioni del nord a fronte di un grande ritardo delle regioni del sud a prevalente vocazione agricola. Il paese vanta quindi un nord ricco e benestante che sopporta e supporta (così si dice) un sud povero ed arretrato che nonostante la generosità delle regioni ricche non riesce a sollevarsi dalla sua misera condizione.
Il bisogno delle regioni ricche di liberarsi di chi si avvantaggia di una condizione parassitaria è assolutamente ragionevole e quindi la secessione, la separazione, quell' ognuno per la sua strada che si dicono i coniugi dopo il divorzio, sembra essere del tutto comprensibile.
L'idea di secessione è ovviamente contrastata da chi invece - rifacendosi alla storia - vede nell'idea di aggregazione, nella forza del numero, dei vantaggi in grado di superare le differenze tra uomini, territori e risorse. Chi ha sognato e sogna un'Europa politicamente unita, un grande nazione Europea, non può che ritenere l'aspirazione all'autonomia, all'indipendenza, solo il retaggio di un antico passato - medioevale come approccio - che crede di saper e poter gestire il suo feudo anche in barba all'imperatore, grazie ad alte mura ed ad un "fedele" esercito di mercenari (non ha caso la Lega fa continuo riferimento ad un momento storico che è tardo-mediovale o pre-comunale, ovvero un periodo che ricorda la situazione attuale, territori ricchi che vogliono autogovernarsi ed affrancarsi dall'impero che parassita risorse).
Quindi sembra proprio che, mascherata da federalismo (che poi federalismo non è perché il federalismo è l'unione di più stati per fini comuni), assisteremo ad una secessione di fatto o meglio ad una "esplosione" del paese in 21 staterelli tenuti insieme da una "costituzione federale" che sarà la vecchia e amata costituzione italiana ampiamente riveduta e corretta.
Con il federalismo demaniale - il primo passo - la questione "territorio" sembra risolta in parte.
Ci saranno contenziosi in futuro, questo è certo, ma il fatto che la regione disponga di un proprio demanio, di propri beni pubblici, è un segnale molto forte. Il fatto che il Pò rimanga in qualche modo "extraterritoriale" in quanto "statale" ricorda non poco il regime di extraterritorialità che riguarda il Danubio, fiume su quale si affacciano più nazioni.
L'approccio regional-nazionale (come potremmo forse definire un regionalismo spinto, per certi aspetti xenofobo) sarà in futuro portatore di conflitti spesso irrisolvibili. Già oggi ne abbiamo un assaggio quando lo stato "centrale" emana norme, che in qualche modo riguardano l'autonomia (la sovranità) regionale, subito partono ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione, competenza, ecc.
Stabilire, non solo nelle materie concorrenti ma in tutta la sfera pubblica, dove arriva lo stato centrale e dove quello regionale diverrà via via più complesso.
Il federalismo fiscale, che dovrebbe concedere autonomia impositiva e responsabilizzare nell'utilizzo delle risorse, rischia di rivelarsi anche per le regioni più ricche un terribile boomerang.
La tassazione è una "imposizione" nel senso che un'autorità più forte "impone" il suo volere ed "esige" il versamento di somme per scopi vari e non sempre ben giustificati agli occhi del "tassato" (il termine contribuente è solo più elegante). Per far pagare le tasse occorre forza, si deve essere grandi e grossi e poter contare su amici ancora più forti (essenzialmente un esercito). Se qualcuno non intende pagare le tasse lo Stato ricorre alla forza per farle pagare o comunque interviene (è il caso del crimine organizzato) per impedire o interrompere attività svolte e flussi di denaro che sfuggano al suo controllo.
Come spera un'Amministrazione Regionale di combattere l'evasione, la criminalità affaristica, senza avere a disposizione dei funzionari, un piccolo esercito, in grado di intervenire. Tra l'altro dovendo evitare quei fenomeni di "sub-corruzione" che, nelle piccole comunità, sono più facili ed incontrollabili. In un piccolo paese, un vigile non è in grado di fare multe ai suoi concittadini (non è carino e non e simpatico) e si concentra sui forestieri. Per questo motivo i carabinieri di prima nomina non possono lavorare nei paesi di origine, la loro funzione di "soggetti terzi" ne risulterebbe sminuita; potrebbero avere un occhio di riguardo con i compagni di scuola.
Le Regioni dovranno affiancare alle strutture regionalizzate dell'attuale Agenzia delle Entrate un sistema di esazione del tutto simile a quello nazionale (Equitalia, Commissioni Tributarie, ecc.) ma regionalizzato se non vorranno che fare continuo ricorso allo Stato Centrale (con i suoi tempi). Uno Stato centrale tra l'altro sempre meno interessato a svolgere il ruolo del "cattivo conto terzi" e la cui centralità è e sarà continuamente messa in discussione.
Se per lo Stato centrale è difficile riscuotere le imposte per uno stato parcellizzato diverrà quasi impossibile e sarà costretto a far pagare di volta in volta i singoli servizi per garantire il funzionamento delle strutture pubbliche, con un venir meno di quei servizi totalmente pubblici che non è agevole sottoporre a tariffa (come la pulizia delle strade, la loro manutenzione, ecc.).
Un grosso passo indietro nella storia.
In Bulgaria, dove non navigano nell'oro ed il sistema fiscale non è del tutto funzionante (anche perché prima - con il comunismo - quasi non esisteva), la manutenzione dei marciapiedi è affidata ai negozianti con il risultato che i marciapiedi sono un patchwork assurdo di materiali (con qualche buca qua e la).
Ho paura che si finirà anche da noi, in qualche quartiere, a dover rinunciare del tutto ai marciapiedi.....

giovedì 6 maggio 2010

Il FederEGOISMO fiscale

Si parla tanto di federalismo fiscale come una riforma fondamentale del paese utile a tutti, nord e sud, ricchi e poveri, fessi e furbi.
Non è così. Il federalismo fiscale è solo un espediente per agevolare la "secessione di fatto" del paese in corso ormai da qualche anno.
Dimenticate le sofferenze della guerra (quanti sono ormai gli italiani che hanno vissuto l'ultima guerra.. sempre meno) la generazione del boom economico e i loro figli non hanno conservato quasi nulla di quella solidarietà che univa il paese uscito dal fascismo. Hanno dimenticato che i genitori (o i nonni) erano emigranti e che la loro ricchezza e la loro fortuna ha origini tra le arance della Sicilia, tra le pecore della Sardegna e - perché no - tra le mucche della maremma o in qualche malga sperduta in mezzo alle montagne del trentino (perché anche nelle zone più ricche i poveri e deboli non sono mai mancati). E così al diavolo la solidarietà, la ridistribuzione, la considerazione ed il rispetto per i più deboli, i soldi del nord devono rimanere al nord, il nord ne ha bisogno per la gente.
Che ci faranno con tutti questi soldi non si sa. Tutti dicono che al nord si vive bene, la sanità funziona, il lavoro abbonda, i soldi non mancano, il consumi lievitano. Punteranno forse ad avere strade lastricate d'oro, stipendi lussemburghesi, fuoriserie al posto delle utilitarie, mendicanti in livrea (solo se mendicati padani che elemosinano in lumbard.... ovviamente).
A me questo federalismo sembra solo una bella botta di egoismo nudo e crudo, gente ricca che vuole tutto per se e guai a chi si avvicina. Ho già molto e voglio avere ancora di più.... se non è egoismo... è avidità.

martedì 20 aprile 2010

La cenere e i dirigibili

La cenere di un vulcano dal nome illeggibile e impronunciabile ha riportato l'Europa per qualche giorno indietro di 100 anni. Mentre sulle distanze brevi e medie non ci sono stati problemi, su tutti i voli - o meglio sui viaggi - internazionali si è assistito alla paralisi.Mi viene da pensare c
he la dimensione "nazionale" sia collegata essenzialmente ai mezzi di comunicazione. Quando un posto diventa "troppo lontano" o comunque troppo faticoso da raggiungere questo diventa un'altra cosa, un'altro luogo, una terra straniera. La globalizzazione è essenzialmente merito (o colpa) dell'aereo. Andare da Bruxelles a Roma - senza l'aereo - diventa improvvisamente un viaggio impegnativo, ci devi pensare due volte prima di intraprenderlo.
Possiamo immaginare - oggi - un mondo senza l'aereo ? E' immaginabile un mondo a velocità ridotta, dove l'America torna a essere veramente lontana ?
Forse è il caso di iniziare a pensarci. Abbiamo moto, auto e treni elettrici. L'elettricità si può produrre in vario modo. Ma di aerei elettrici - a parte i modellini - non sembra proprio se ne parli. Ci sono dei prototipi ad energia solare ma sono solo delle grosse zanzare se paragonate ad un Boing 747 o al nuovissimo Airbus 380 da quasi 1000 posti.
Avremo forse nel futuro transatlantici a propulsione nucleare (come i sottomarini) ma di aerei che non utilizzino il cherosene ancora non abbiamo notizie. E il petrolio finirà. O costerà troppo.
Si capisce che ho tanta nostalgia per i dirigibili ?
Vi ricordate il gigantesco GoodYear che passava su Roma quando eravamo piccoli ?
Silenzioso. Quasi fermo. Doveva essere bellisimo viaggiare in quel modo.