venerdì 9 ottobre 2015

Il Sindaco

Risultati immagini per marino
A me il Sindaco Marino non mi è mai piaciuto. Se uno fa il medico con passione come tutti i medici dovrebbero - a me sarebbe piaciuto - non ti passa neanche per l'anticamera del cervello di metterti a fare un lavoro lontanissimo dai tuoi studi, dalla tua esperienza, dalle tue conoscenze. Se poi sei pure forestiero in una città dove i quartieri fanno nazione in termini di identità e cittadinanza dovresti avere il buon senso di evitare. Il politico, il parlamentare, posso pure capire, li magari un'esperienza in determinato settore può servire, può dare un contributo. Ma il Sindaco di Roma, l'amministratore di uno dei più grandi condomini del mondo non era per lui. Se poi, come credo e sono convinto, parliamo di una persona fondamentalmente onesta, un po' disattenta come spesso capita ha chi ha troppe cose per la testa, addirittura distratta e con un'eccessiva fiducia nel genere umano, talmente in buona fede da far pubblicare le ricevute che non avrebbe dovuto farsi rimborsare (in pratica armare il nemico), messe in tasca e poi finite tra le altre e pure rendicontate con poco zelo e troppa leggerezza da qualche impiegato, ma vale probabilmente lo stesso per la macchina in divieto di sosta e le relative multe, e per tutta la serie di innumerevoli gaffes sempre puntualmente registrate, possiamo solo pensare che no, non era proprio il lavoro per lui.

E' vero, il Sindaco Marino non mi è mai piaciuto, ma mi sono piaciuti ancor meno, decisamente meno, tutti gli altri.

Tutti, a cominciare da tutte le strutture dell'amministrazione comunale, nelle sue diverse articolazioni, nelle controllate, ATAC, AMA, ecc. con le quali Marino si è dovuto scontrare in ogni occasione nel tentativo di metter ordine, in realtà di tappare le innumerevoli falle, di intervenire nel marasma all'origine del grave dissesto finanziario di una città che brucia fiumi di denaro senza riuscire a risolvere i problemi. Sprechi in parte dovuti all'incapacità, alla scarsa volontà, ma anche all'avidità, al malaffare. La magistratura, come abbiamo visto, avrà da fare ancora per molto.
Mi è piaciuto molto poco anche il PD, probabilmente troppo preoccupato a gestire le minoranze interne, e per il quale Marino è diventato sempre più un problema che una soluzione, un danno all'immagine di un PD che, se a livello comunale è a pezzi, a livello nazionale preferirebbe inanellare successi e non collezionare - di riflesso come partito del sindaco - critiche, fallimenti, denunce. Vero è che più tentativi sono stati fatti per affiancare il sindaco ma come dire, lo sventurato non ha perso occasione per farsi facile bersaglio di critiche, di fornire argomenti ai numerosi nemici.
I pentastellati poi, il M5S, mi sono piaciuti ancor meno avendo fatto della capitale essenzialmente un laboratorio sul piano della comunicazione. Una nave scuola dove esercitarsi ed allenare i propri campioni a svolgere il ruolo di opposizione dura, mediatica, che è quella a cui assistiamo nelle interviste e nei talk show. Del resto, rendiamocene conto, il ruolo di opposizione permette a tutti di esercitarsi senza responsabilità, di studiare, di approfondire. Oggi a distanza di più di due anni il M5S inizia a definire le strategie, a capirci qualcosa di come funziona la macchina, ruba la scena a Salvini ed alla Lega, che pure vantano un maggiore esperienza. Diciamo che ora il M5S è arrivato a poter esprimere alcune figure politiche e con un'inversione di marcia (ricordiamoci  il no interviste, no giornalisti, no TV, gli anatemi di Grillo su chi usciva dalle righe) che spiega come tutto fosse finalizzato a prendere tempo, il tempo necessario a selezionare e formare le figure giuste. Probabilmente, a dispetto di una strategia ben costruita, il M5S vede la caduta di Marino un po' troppo anticipata rispetto ai loro piani, avrebbero avuto bisogno di altro tempo per individuare un plausibile candidato sindaco. La rapida retromarcia degli attuali leader del M5S, attualmente parlamentari obbligati (boh ?) a terminare il mandato lo interpreterei come un "troppo presto, non siamo pronti..". Forse Renzi ha ragionato in tal senso nel decidere di dire basta.
Anche i giornali ed i giornalisti mi sono in realtà piaciuti molto poco. Non mi sono piaciuti perché mettendo davanti a tutto il clamore, l'interesse, l'audience, hanno creato un caso su un episodio, un funerale, eclatante quanto si vuole, a cui non dovevano - solo allo scopo di rimarcare sospette inefficienze nella macchina dell'amministrazione - dare una visibilità enorme, concedendo così una sostanziale vittoria, gli altari mediatici, a chi non sembrava proprio meritarli.
Negli Stati Uniti neanche il nome di chi compie stragi deve essere noto, non merita  infatti di essere ne nominato ne ricordato.
Tra chi vive a Roma, in molti di noi, c'è il ricordo di altre cerimonie simili. I romani onesti, un po' rassegnati ma armati di una potente indifferenza, sanno di cosa si tratta e si tengono alla larga dalle cerimonie private.
Ora stiamo a vedere. 
Ci aspetta un periodo di commissariamento e, non c'è che dire,  si tratta di un capolavoro politico delle opposizioni fatto per il bene della città, che durante il Giubileo si troverà nella stessa situazione di un comune sciolto per mafia, tutto molto bello.
Poi finalmente, in primavera, nuove elezioni. Se qualcuno riesce a convincere Francesco Totti a candidarsi sono assolutamente certo che oltre alla totalità del voto romanista potrebbe raccogliere anche il voto di moltissimi tifosi laziali, vincendo così addirittura al primo turno.

mercoledì 9 settembre 2015

Mezzogiorno magnus et felix

Si studiano ancora oggi a scuola la Magna Grecia, la Campania felix, e tanti altri momenti della storia dove il Mezzogiorno del nostro paese è stato non solo un protagonista della Storia ma addirittura a volte l’interprete principale o comunque una delle Guest Star nel lungometraggio del progresso, della cultura, dell’innovazione ed anche della ricchezza. Tante cose sono cambiate da allora, il mondo, l’economia, i sistemi produttivi, l’organizzazione del potere, le popolazioni, tutto è diverso. Viene il sospetto che il Mezzogiorno, un po’ come Roma che è stata a capo dell’Impero, potesse essere grande solo in quell'epoca, in quel contesto, con quel sistema di scambi commerciali, con quelle tecnologie, in quella civiltà. E’ questa una visione strettamente “storica” dello sviluppo che racconta come la compresenza di una serie di fattori favorevoli, acqua, clima, manodopera, risorse naturali, nuove tecnologie, sono alla base della crescita di una civiltà, di una grande città, di una nazione. Ovvero un colpo di fortuna. Si potrebbe quindi pensare che il mezzogiorno, come l’antico Egitto, l’antica Grecia,  come Roma, ha già avuto il suo colpo di fortuna e forse il suo destino è quello delle città abbandonate dopo la corsa all’oro. Finito l’oro, finita la città. Essendo indisponibile quel determinato mix di fattori che in determinato tempo e luogo sono motori dello sviluppo, fattori destinati a cambiare nel tempo, non è possibile l’avvio di un auspicato processo di crescita anzi si assiste ad un continuo abbandono ed impoverimento di quei territori. E’ questa la condizione del mezzogiorno (penso all’ultimo rapporto SVIMEZ che disegna un quadro desolante)? Siamo all’inizio della fine? Tra qualche decennio avremo qualche capoluogo della Sicilia ricoperto dalla vegetazione come i templi Aztechi ? Ci sono una serie di indicatori che riguardano la popolazione che fanno temere di si. Alcuni luoghi stanno morendo. In questa lenta agonia iniziano a venir meno anche i fattori fondamentali per la crescita e lo sviluppo come i giovani, in particolare la famiglie giovani ed i loro figli, sostituite solo parzialmente da quelle degli immigrati. Immigrati che, come fattore di sviluppo economico, potremmo definire cinicamente “manodopera a basso costo”, in realtà in grado solo di riprodurre – senza poi riuscire a essere comunque competitivi  -  un modello di sviluppo (o forse un’economia di sussistenza), propria dei paesi ancora in via di sviluppo e lontani da una condizione di benessere diffuso (Cina, India, ecc.).
Dopo il sostanziale fallimento di anni e anni di intervento statale su quelle aree, in grado solo di rallentare, allontanare po’ nel tempo, un destino che sembra ormai segnato, viene il sospetto che sia stato tutto sbagliato e che in concreto si continui a sbagliare. Viene anche da domandarsi se non si fosse mai intervenuti in quei territori, se l’intervento straordinario nel mezzogiorno non fosse mai esistito come sarebbe andata la storia. Come sarebbe oggi il mezzogiorno senza le cattedrali nel deserto, senza le industrie abbandonate, senza tutti quei dipendenti pubblici, con pochissime infrastrutture, senza acqua? L’ondata migratoria del ‘900 non si sarebbe forse mai arrestata ed oggi disporremmo di enormi aree abbandonate, forse una grande riserva naturale.
In realtà le cose non sono andate così e negli anni si è fatto molto, tanto. Se confrontiamo il mezzogiorno del secondo dopoguerra con il mezzogiorno di oggi le cose sono parecchio cambiate. La Napoli di Totò e della Loren e la Napoli di oggi sono drammaticamente diverse (immagino in qualcuno più anziano una leggera nostalgia) . Per non parlare poi di Matera, della Puglia con l’acquedotto o delle coste della Sardegna (forse a certo turismo erano da preferirsi le pecore, ma ci vuole pazienza).
Sono stati in passato sicuramente fatti grandi errori, anche degli scempi, ma leggiamo ogni giorno di un mezzogiorno che resiste, che non vuole gettare la spugna. Troviamo moltissimi “singoli casi isolati” di successo nelle regioni del sud. Innovazione, brevetti, ricerca, tante storie positive di giovani del sud che però non ce la fanno a controbilanciare le tante disfunzioni, i fallimenti, i guasti del sistema, la criminalità, l’immobilismo di una pubblica amministrazione piuttosto malridotta. Le iniziative di successo sono spesso come piante in un vaso, crescono bene all’inizio, la terra è buona, concimata ed annaffiata regolarmente, ma poi il vaso non basta più, diventa piccolo, le radici soffrono, la pianta soffre e muore. E quando si prova a cambiare vaso qualcosa va spesso storto. Manca sempre qualcosa, il vaso, la terra, il concime.
Non vanno poi dimenticate le eccellenze del nostro mezzogiorno (le nostre miniere d’oro), alcune produzioni agricole sono uniche al mondo per l’assoluta qualità ed alcuni siti turistici sono di enorme interesse e ci si domanda sempre se siano adeguatamente valorizzatati. Troppo spesso si assiste a scelte sbagliate in questo settore, a volte si fa di tutto per limitare, depotenziare, una domanda che sembra volere crescere (penso a Pompei, sempre motivo di polemiche sulla sua conservazione e gestione) e dall’altro si promuovono con grandi investimenti siti che poi, a causa di altre situazioni al contorno, non riescono ad entrare nei circuiti turistici  e finiscono per essere quasi dimenticati (penso ai bronzi di Riace).
Che si può fare per avere una seconda età dell’oro, come può il paese fare in modo che il   suo mezzogiorno torni “grande e felice” ? Una delle possibilità, in un approccio assolutamente liberista, è quella di aspettare il colpo di fortuna. E’ possibile che il superenalotto della storia riproduca nel mezzogiorno un serie di condizioni favorevoli da renderlo un nuovo “Eldorado” (scoperta di nuove fonti di energia, elisir di lunga vita od anche qualche favorevole cambiamento climatico), e tutto improvvisamente cambi e ne risulti stravolto, ma sappiamo che la fortuna a volte va anche aiutata (l’oro va innanzitutto cercato).
Sarebbe fondamentale innanzitutto capire cosa si intende per sviluppo di un territorio. Ci aspettiamo in concreto dei cambiamenti, dei miglioramenti delle condizioni di vita, ma bisognerebbe decidere se non proprio un punto di arrivo almeno dei traguardi, delle configurazioni  auspicabili, una qualche idea, una visione del futuro. Perché, a pensarci bene, tra le possibili visioni del futuro ci può essere anche quella di un mezzogiorno sostanzialmente deindustrializzato, disabitato e sottoutilizzato, con un’economia  agricola e turistica in grado di assicurare un relativo benessere agli abitanti rimasti, un sistema di servizi ridotto al minimo indispensabile (anche meno). E’ in realtà la situazione di molti centri minori che vivono di agricoltura e di turismo, per lo più balneare e fortemente stagionalizzato. E’ un modello di sviluppo “bonsai” che è pensato per mantenere una dimensione limitata, richiede un costante piccolo impegno, poco concime, ma non può impegnare molte persone. E questo è il modello a cui si aspira l’emigrazione continuerà ancora a lungo, diminuiranno gli abitanti ed il PIL fino ad una stabilizzazione che vedrà gli abitanti rimasti vivere in condizioni probabilmente migliori. Sarà un territorio vasto ma con un’economia piccola, un mezzogiorno piccolo e felice. Sarebbe bello capire se esiste veramente questo punto di equilibrio o se altri fattori in realtà potrebbero entrare in gioco, se questa specializzazione sia o meno sostenibile e se il turismo come lo conosciamo oggi sia destinato a scomparire o a cambiare forma. Il turismo balneare è un fenomeno relativamente recente, poco più di un secolo, non è detto debba continuare per sempre, prendere il sole seminudi potrebbe – come fumare – diventare fortemente sconsigliato e.. addio spiagge.
Tra le possibili visioni all'opposto possiamo immaginare anche un mezzogiorno completamente diverso, fortemente produttivo, industrializzato, densamente abitato, in cui ogni possibile pezzo di terra è utilizzato da capannoni, fabbriche, fabbrichette, orti, serre, porti, centrali, strade (tante), ferrovie e stazioni (tantissime). Un territorio decisamente antropizzato come lo sono le regioni del nord Italia e molte parti del centro Europa. Se guardiamo una foto del nostro paese dal satellite di notte, con le luci delle città, abbiamo una chiara sensazione di quello che significa un territorio antropizzato, densamente abitato, possiamo correlare direttamente illuminazione notturna,  popolazione, produzione e ricchezza.
Possiamo anche immaginare delle soluzioni miste, con parti del territorio fortemente antropizzate ed altre a vocazione agricola, ma l’importante è immaginare un futuro per i territori consapevoli di ciò che determinate scelte comportano ed operare di conseguenza. Alcuni modelli di sviluppo sono concorrenti, lo sviluppo industriale confligge con quello turistico e con la tutela dell’ambiente (in generale la tutela assoluta dell’ambiente si trova spesso in conflitto con qualsiasi forma di sviluppo, e questo è un bel problema).
Bisognerebbe forse smetterla di scrivere programmi di sviluppo in cui c’è di tutto e per tutti, l’agriturismo, i grandi resort, i B&B, l’hi-tech, l’ingegneria genetica, e chi più ne ha più ne metta, facendo a gare ad inserire le ultime novità. Ora va per la maggiore la share economy, che è qualcosa che presuppone un mondo pesantemente informatizzato e connesso al web, mi aspetto qualche proposta nell’entroterra calabrese dove i telefonini non prendono. Forse dovremmo iniziare a disegnare, a sognare, le regioni del futuro, il mezzogiorno tra cento anni. La politica dovrebbe smettere di promettere finanziamenti per alcuni e strade per altri e invece proporre delle idee di futuro lasciando poi ai tecnici di studiare le soluzioni. La politica non deve pensare all’aeroporto ma deve pensare al  tipo di città che ha bisogno dell’aeroporto e proporre quella, non deve pensare al porto turistico ma deve trovare il sostegno dei cittadini per un centro turistico che prima o poi avrà bisogno di un porto più grande. La politica, che dovrebbe rappresentare le istanze e le aspirazioni dei cittadini, dovrebbe cercare di capire che tipo di futuro essi immaginano per la loro terra. Troppe volte si è proposto un modello indistinto, si è realizzata un’area industriale, voluta e capita da pochi, per poi trovare ostacoli insormontabili nel realizzare le strade e nell’insediare le aziende.
Il mezzogiorno dovrebbe finalmente chiedersi, nelle sue articolazioni territoriali, nelle regioni e nelle grandi città, cosa vuole fare da grande e prima ancora se vuole diventare grande. Sembra spesso un studente svogliato che preferisce ripetere l’anno, sorbirsi un fiume di ripetizioni e di rimproveri, lamentarsi in continuazione da un lato di non essere portato per lo studio e dall’altro che nessuno lo aiuta ne a studiare ne ad imparare un mestiere; poi se vai a vedere quando vuole sa fare tutto, è un mago del pc, ma appena può scappa al bar con gli amici o in spiaggia a giocare. Fa pure qualche lavoretto, in nero, quanto basta per pagarsi qualche viaggio. E’ il momento di scegliere, prendere un riferimento, un modello, e quindi puntare a raggiungerlo. Meglio un’idea sola ben chiara che tante idee confuse. Insomma darsi da fare indipendentemente se l’obiettivo – il benchmark -- è il Principato di Monaco oppure l’isola di Pasqua. Solo per chiarezza le favelas brasiliane non sono da considerare un obiettivo da prendere come riferimento (cerchiamo di migliorare, anche se alla criminalità organizzata il modello potrebbe non dispiacere per la grande disponibilità di manodopera; alcuni quartieri delle nostre città del mezzogiorno hanno un loro perché).
Se quindi si aspira a diventare una Montecarlo del Sud la prima cosa da fare è garantire la sicurezza, che nessuno rubi, borseggi, rapisca chi viene ad investire il proprio denaro (legalità). E prima di tutto occorre che nessuno faccia il furbo, con nessuno (basta stereotipi). Perché a Montecarlo certe cose non si fanno. Poi magari si penserà al casinò. Se si pensa alla Costa Smeralda come riferimento forse il sistema della infrastrutture deve venire prima degli alberghi. Se il posto è bello, facilmente raggiungibile, sicuro, poi le case, gli alberghi, le attività commerciali, arrivano da sole.
In realtà decidere è la parte più difficile perché se il richiamo della ricchezza è forte, le luci della città attraenti, anche la calma e la tranquillità (l’inedia) hanno il loro fascino. Così i giovani meridionali, un po’ come una gran parte del mezzogiorno (penso alle aree più isolate), vivono questo conflitto anche internamente ed alcuni emigrano perché non possono aspettare che il luogo dove sono nati offra le stesse possibilità di lavoro del nord Europa, ed altri si adeguano ad uno stile di vita “bonsai”, con poche aspirazioni e pretese, sperando che il tempo sistemi le cose. Le belle storie di successo sono quelle di quei giovani che resistono e creano da soli le loro opportunità di lavoro, eppure il contesto non sembra aiutarli a sufficienza, come se loro idea, il loro modello di futuro, non sia poi così condiviso.
Mi domando se in queste situazioni non sia necessario un intervento esterno, qualcuno che decida per tutti, un cesare, un imperatore che costruisca (o ricostruisca) ponti, strade, castelli, porti e, visto che siamo ai giorni nostri, aeroporti, centrali, fabbriche, università, reti informatiche.

Anche gli imperatori hanno però sempre avuto qualche problema ad amministrare le province lontane da Roma, eppure non ci pensavano due volte a mandare gli eserciti.

martedì 7 luglio 2015

L'abbaglio

Ho qualche idea sulla situazione della Grecia e vorrei condividerla. E' qualche anno che ho a che fare con "l'Europa", con le istituzioni europee, con i regolamenti, con le persone e mi sono fatto un'idea abbastanza chiara della forza, della bontà e dei limiti del "progetto" europeo.
Tanto per cominciare l'Europa non è un'idea "democratica". E' un progetto che è stato promosso dalle elite intellettuali (da Mazzini in poi) ricordando il passato e sognando il futuro, con una visione, un'idea di pace e prosperità troppo alta e complicata per essere espressione di un desiderio e di una volontà popolare. 
Se dopo la seconda guerra mondiale qualcuno avesse proposto un referendum, una consultazione, chiedendo al popolo sovrano se fosse interessato ad unire il suo paese alla Germania o alla Grecia, avremmo avuto percentuali di no molto più elevate di quella spuntata da Tsipras. Sentimenti come la rivalsa, l'odio, anche magari un desiderio di vendetta, la semplice diffidenza, il profondo nazionalismo e, a piccola scala, gli irrinunciabili campanilismi, avrebbero facilmente orientato le scelta. 
Ripescando nei ricordi  (penso al  fallimento del progetto di Costituzione Europea https://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_europea) trovo conferma del fatto che l'idea di un'Europa veramente unita è in genere sconfitta se posta, attraverso un voto popolare, a confronto con i sentimenti di appartenenza, con l'idea di patria, di nazione.
L'Unione Europea, federale, confederale o in qualsiasi altra forma la si possa disegnare, se vogliamo ascoltare le parole che provengono dalla Grecia, è un progetto probabilmente minoritario tra i cittadini europei. Abbiamo visto che l'approccio di tutela degli interessi "nazionali" è vincente e, quando si parla alla "pancia" del paese, l'attenzione alle conseguenze diventa scarsa (se le posizioni si irrigidiscono la Grecia è destinata al fallimento). Se si contrappone una "posizione" (neanche un interesse) nazionale rispetto a delle indicazione terze, esterne, è fin troppo facile trovare un ampio consenso. Anche il tema dell'emergenza immigrazione si muove sulle stesse note (ognuno per se). 
Nonostante quindi la mancanza di un vero forte consenso popolare, lentamente, in tanti anni, con pazienza, per passi successivi, tentando qualche scorciatoia, a volte con qualche pausa e qualche passo indietro, comunque l'ambizioso progetto dell'Unione Europea è andato avanti. 
Oggi i più giovani scorrazzano per l'Unione con una libertà e con delle possibilità inimmaginabili solo cinquant'anni fa. Su moltissime cose l'Unione Europea è un grande successo.
Grande limite delle istituzioni europee è però probabilmente quello di sottostimare continuamente quanto sia forte la contrapposizione tra "nazionalismo" ed "europeismo", quanto sia lungo e faticoso trasformare italiani, inglesi, francesi, ecc. in "europei". I "texani" sono americani del Texas. Gli "inglesi" (ma vale anche per gli altri) sono ancora inglesi e basta e non europei che vivono in Inghilterra.
Tra Europa e Grecia (ma sarebbe lo stesso tra Europa e Italia) si sceglie il proprio paese come allo stesso modo, tendenzialmente ma in modo più attenuato, si predilige la propria regione o la propria città.
Ma se l'Europa fosse stata già oggi una realtà, un stato federale (gli Stati Uniti d'Europa), come sarebbe stata la crisi greca ?  Probabilmente non ci sarebbe stata oppure, se l'Europa federale avesse comunque previsto la stessa autonomia di cui dispongono oggi gli Stati (cosa che in realtà non potrebbe essere, l'economia ed il fisco dovrebbero essere gestite a livello europeo), l'intervento sarebbe stato esattamente l'attuazione - forse anche più severa - delle proposte delle istituzioni europee, che avrebbero comunque sostenuto uno Stato in difficoltà, comunque imponendo tagli, correzioni, misure di varia natura. E' quello che fa qualsiasi Governo quanto un ente locale, un Comune, una Regione, si trova in difficoltà finanziarie, interviene, rifinanzia, ristruttura la spesa, anche se opportuno commissariando l'Ente.
Le istituzioni europee tendono a muoversi pensando che l'Unione Europea sia qualcosa di più di un circolo sportivo - al quale ci si iscrive, si paga la quota,  si utilizzano gli impianti messi a disposizione (se mi stufo me ne vado, se costa troppo me ne vado, se posso fare casino in piscina ed invitare chi mi pare resto - approccio utilitaristico che non dispiace a molti) - e pensano invece che l'Unione sia uno stato quasi-federale da gestire nella sua interezza cercando un approccio ed applicando regole il più possibile comuni; regole comuni e condivise sono alla base di ogni convivenza, anche in un circolo sportivo.
Quello che leggo sui giornali, l'abbraccio di molti alla posizione del governo greco vista come il desiderio di un'Europa diversa, migliore, più umana, più egualitaria, libera dalle banche, dalla finanza, mi sembra uno spaventoso abbaglio. E' possibile pensare ad una pacifica convivenza se non si è disposti ad accettare il sistema di regole, l'organizzazione, anche le decisioni, di chi prova ad organizzare qualcosa di più complesso di un circolo sportivo ? 
La dimensione dell'abbaglio si misura non solo nell'appoggio ad un approccio "nazionalista" (nel senso di difesa di una posizione tutta nazionale) ma anche nell'attacco diretto a chi, purtroppo non disponendo di poteri soprannaturali ma con ragionevolezza, ha proposto soluzioni ed ha trovato sul fronte greco solo rifiuti; fronte che pone oggi sul tavolo ancora la plateale conferma delle sue posizioni e dice: "vedete, i miei sono tutti con me". Tanto piacere. Benissimo. Basta austerity.  Ma chi paga ? 
Così sull'onda dell'emozione, la sinistra europea a parole europeista di fatto affossa l'Unione Europea affermando che al circolo sportivo Europa ognuno si fa le regole per conto suo, se alcuni lasciano l'acqua delle docce aperte, non pagano il conto del bar, parcheggiano dove gli pare la moto, non si può essere troppo rigidi, è gente troppo simpatica, sportiva, giovane, tutti - democraticamente - molto uniti fra di loro. Torna la domanda: ma chi paga ? 
La risposta è semplice. Gli altri. Mi sembra una grande conquista. Vero progresso. Far pagare gli altri. Oltre duemila anni di storia per giungere all'importante traguardo che democrazia è far pagare gli altri. E io che pensavo che democrazia è far pagare a tutti il giusto.
Ma no, gli altri sono le banche, sono loro che devono pagare. Già, peccato che le banche non sono altro che amministratori dei risparmi di altri, per cui se pagano le banche pagano i risparmiatori.
Quindi a pagare deve essere chi risparmia. Le formiche.
Ma vuoi vedere che la storia della cicala e la formica, alla fine, approfondendo bene, è la cicala ad avere ragione. E io che avevo capito il contrario. Tutta colpa della suore che promuovevano falsi ideali come il lavoro, il risparmio, la prudenza.
Il problema di oggi della Grecia è che il circolo sportivo Europa, pure se il gestore è un po' troppo tedesco nel pretendere il rispetto delle strutture e delle attrezzature, è un circolo troppo comodo; negli ultimi anni ci si è proprio divertiti, anche troppo. Gli altri soci ti fanno regali e ti prestano pure i soldi. Andare a giocare orgogliosamente altrove, in altri campi magari poco illuminati, può essere pericoloso e costare decisamente più caro. 
Come può uscire la Grecia da questo labirinto del quale in pratica nessuno  - neanche le istituzioni europea - conosce una facile via d'uscita?  Non sarebbe male un bagno d'umiltà e forse le dimissioni del Ministro dell'economia Varoufakis sono un timido segnale. Stiamo a vedere.