mercoledì 16 giugno 2010

L'Italia che verrà - 5 - Il centro sud

Riprendiamo la narrazione della storia d'Italia futura scendendo lungo lo stivale. Al centro della penisola, dopo la secessione delle province del Nord, la Repubblica Italiana vedeva ricondotti i suoi confini grosso modo all'antico Stato della Chiesa ed al Regno delle due Sicilie (configurazione pre-unitaria) con le Regioni del sud e le isole maggiori, Sardegna e Sicilia, in preda ad una profonda crisi economica. Essendosi progressivamente ridotti negli anni i trasferimenti di fondi dalle Regioni del Nord a quelle del Sud tutto il mezzogiorno dovette affrontare il progressivo impoverimento di tutte le aree agricole periferiche. Prima le aree montuose, poi le collinari ed infine le suburbane vennero abbandonate o cedute dai piccoli proprietari per finanziare l'emigrazione verso nord o verso paesi esteri di interi nuclei familiari. Già nel 2030 i territori si erano talmente impoveriti che il gettito fiscale Regionale, da sempre insufficiente, si era talmente ridotto che il 70% dei comuni aveva dichiarato bancarotta ed era stato sottoposto all'amministrazione di Commissari Regionali i quali erano stati costretti a lincenziare definitivamente (non potendo pagare gli stipendi) i dipendenti comunali autorizzandoli nel contempo a gestire in forma privatistica i servizi pubblici dietro pagamento di una tariffa concordata a livello regionale. I dipendenti in un primo momento si organizzarono in forme cooperative ma ben presto la necessità di capitali per garantire il funzionamento delle strutture aveva visto l'intervento diretto di famiglie benestanti (alcune con una storia di criminalità alle spalle) che da appaltatori dei servizi si trasformarono in "gestori" assumendo gli ex dipendenti comunali e riferendo direttamente ai vari Commissari Regionali. Il potere dei gestori privati divenne via via più ampio tanto che la nomina a Commissario Regionale in un determinato Comune doveva trovare in qualche modo l'approvazione dei "gestori" se non essere addirittura un loro diretta espressione. Si formarono in qualche caso anche delle forme di gestione intercomunale, come nel caso dei Comuni della Provincia di Caserta, che per primi vantarono un unico gestore dei servizi di Polizia Municipale, talmente potente da acquisire la gestione del servizio anche in molti comuni della provincia di Frosinone. Dal 2032 tutto il traffico delle zone agricole del basso Lazio e del casertano era sotto il controllo diretto del comando dei Vigili (ribattezzati Vigilanti) con sede a Casal di Principe che, con lo scopo di agevolare il traffico, dispose con tanto di determina vistata dal Commissario Regionale lo smantellamento di tutti gli impianti semaforici, l'eliminazione della segnaletica, e l'installazione di speciali autovelox a velocità minima in grado di multare chi viaggiasse a bassa velocità. Nel contempo venne meno anche l'obbligo di assicurazione dei veicoli, non in questo caso per una decisione politica, ma per il fatto che nessuna compagnia di assicurazione era disposta ad assicurare veicoli della zona o che avrebbero dovuto attraversarla. Nel giro di pochi anni tutto il mezzogiorno vide la comparsa di una amministrazione diretta delle funzioni pubbliche da parte di Commissari Regionali che sovraintedevano l'attività di più soggetti privati incaricati di tutti i servizi pubblici con il risultato che nel giro di un paio di tornate elettorali vennero a coincidere la figura di Consigliere regionale e quella di Commissario, tanto che le assemblee regionali si trasformarono in camere commissariali che eleggevano al loro interno un presidente con ruolo di Governatore Regionale ed una giunta esecutiva nella quale gli assessori, ormai privi di un potere reale, si limitavano al coordinamento settoriale evitando tra l'altro (cosa che era già successa) che in comuni limitrofi ma soggetti a due diversi gestori dei servizi educativi la durata degli studi ed il loro ordinamento fossero diversi (nella Provincia di Salerno, in cambio del raddoppio delle rette, il liceo Classico era stato ridotto a due anni di durata e si era tentato di abolire l'esame finale - il tutto nei limiti, invero molto larghi, dell'autonomia propria del gestore dei servizi). Mentre le Regioni del sud, forti della loro autonomia federale, trasformavano le loro amministrazioni, lo Stato Centrale combatteva privo di armi una battaglia ormai persa in partenza per l'impossibilità di sanzionare i comportamenti difformi delle amministrazioni locali. Tutte le direttive, i pareri, le leggi di indirizzo, divenivano in breve lettera morta o tutt'al più utili linee guida. Tra l'altro queste attività gravavano economicamente di fatto su quelle poche regioni dell'appenino centrale e sull'aerea romana che erano rimaste assolutamente fedeli al sistema federale definito con la riforma costituzionale del 2018 e che quindi versavano regolarmente la loro quota federale. Come conseguenza di ciò le strutture amministrative dello Stato Centrale divennero essenzialmente delle strutture interregionali di coordinamento a servizio delle Regioni interessate a non disperdere il patrimonio di competenze che si concentrava nei palazzi della capitale. Le regioni del mezzogiorno furono quindi in pratica abbandonate dall'amministrazione centrale che già nel 2030, allo scopo di limitare l'immigrazione dal sud e conservare l'occupazione nella capitale, aveva limitato l'accesso agli impieghi pubblici ai soli residenti della'area romana ed a dei contingenti delle Regioni dell'appennino (Marche, Umbria, Abruzzo e Molise, Romagna). Rimaneva però la necessità delle regioni del mezzogiorno di una qualche forma di coordinamento ed allora venne istituita su iniziativa dei Governatori di Campania, Puglia, Calabria e Basilicata una struttura amministrativa formata essenzialmente dalle ex Prefetture (già da qualche anno i prefetti non venivano più nominati per mancanza di fondi ed anche perchè - se in contrasto con i Commissari Regionali - veniva meno loro qualsiasi possibilità di operare o sopravvivere). Si decise poi che le ex prefetture venissero coordinate da una struttura centrale con sede a Napoli con a capo - a turno - uno dei Governatori la cui carica durava un anno. Nel 2035 la situazione politica si era fatta insostenibile e su iniziativa della Camera delle Regioni, o meglio di quello che ne restava con l'uscita avvenuta negli anni precedenti delle Regioni del nord, fu approvata una riforma costituzionale che con l'intento si salvare se non altro i fondamentali economici della penisola, ovvero la tutela del sistema degli scambi commerciali, i rapporti interbancari, la giustizia civile e la sicurezza pubblica. La riforma riconosceva lo status quo e prendeva atto delle scelte autonomiste della Sicilia e della Sardegna che venivano riconosciuti come stati autonomi al di fuori della Repubblica Federale Italica, che però conservavano con la Repubblica "madre" rapporti commerciali ed istituzionali stabili regolati da un apposito trattato internazionale di "affiliazione" alla Repubblica. Il Trattato conteneva sia il recepimento della vecchia normativa italiana (per assicurare continuità del diritto nei neonati stati) sia alcuni accordi in materia di difesa (utilizzo di porti, aereporti, ecc.). Alle regioni del mezzogiorno che si erano date una propria organizzazione amministrativa interregionale fu riconosciuto un livello di autonomia assolutamente paragonabile a quello delle neonate nazioni di Sicilia e Sardinia e venne riconosciuta l'esistenza della Confederazione delle Regioni del Sud con una propria autonomia costituzionale di stato confederale. Le Regioni del Sud si autoconvocarono in un sorta di assemblea costituente composta da tutti i consiglieri dei parlamenti regionali e deliberarono la costituzione della Confederazione del Sud approvando nel dicembre 2035 un trattato interregionale con valore di costituzione confederale che collocava la capitale confederale a Napoli, già centro amministrativo interregionale. (segue)



lunedì 14 giugno 2010

L'Italia che verrà - 4 - Ancora il Nord

Torniamo alla nostra storia sull'Italia del futuro, quella che ci attende da qui a quarant'anni (ogni riferimento a persone e cose è puramente casuale). Eravamo rimasti che le province più periferiche del bilinguismo avrebbero ottenuto il tanto atteso riconoscimento della loro appartenenza agli altri Stati confinanti tutte entro il 2040. Altre zone di confine avevano percorso sorti simili. In particolare le province più a nord del Piemonte, la val d'Ossola, che risultava collegata naturalmente con la Svizzera decisero si associarsi al Canton Ticino di fatto ampliando notevolmente il territorio della Svizzera. La Svizzera quindi, anche attraverso la volontà di alcuni altri Comuni (Chiasso uno dei primi) di conservare una particolare autonomia fiscale distinta da quella delle altre Province aveva già nel 2035 il controllo delle sponde dei grandi laghi ex lombardi. Qualcosa di simile avvenne in Liguria con alcuni Comuni della riviera di ponente che nel 2030, Sanremo tra tutti, decisero di fare proprio il regime fiscale del Principato di Monaco e non aderirono alla Libera Unione delle Province Padane. In qualche anno l'afflusso di capitali da tutta Europa garantì una ricchezza economica tale che volontariamente, con un plebiscito, i Comuni della Liguria occidentale scelsero di essere annessi ai territori del Principato di Monaco ribattezzato subito dopo Grande Principato di Monaco e Sanremo. Il Principato nel frattempo, per la mancanza di eredi legittimi della casa Grimaldi, si era trasformato in sorta di monarchia elettiva (simile allo Stato della Chiesa) nella quale i maggiorenti del Principato indicavano, in genere tra gli anziani, un reggente con incarico a vita. Nel 2035 era stato elevato a rango di Principe protempore con il nome di Silvius I il ricchissimo Piersilvio Berlupponi che aveva erediato le fortune della famiglia dopo la morte, in due distinti e misteriosi incidenti aerei, dei suoi fratelli e dei loro congiunti.
Un'altra questione importante si aprì nel 2035, a 6 anni dalla costituzione dell'Unione delle Libere Province Padane, con la Provincia di Venezia. Nel 2028, pochi mesi prima del blocco del sistema ferroviario, era stato completato il Mose ed era stato affidato ad una multinazionale olandese il plurimilionario contratto di gestione e manutenzione delle paratie mobili. La Provincia di Venezia, subentrata al Ministero delle Infrastrutture nei rapporti con il gestore, nel giro di pochi anni non fu più in grado di onorare il contratto che fu rescisso unilateralmente affidando l'appalto alla Cooperativa Gondolieri che si impegnò ad assumere il personale tecnico per la gestione e la manutenzione degli impianti. La necessità di ridurre le spese obbligò la cooperativa ad una seri di avvicendamenti del personale che portò fuori dalle strutture i tecnici olandesi sostituiti con ex gondolieri anziani nel ruolo via via di responsabile delle emergenze, capo manutentore, ecc.
Nella notte di Natale del 2035 si trovò nella sala controllo Bepi Piccioni che, prossimo alla pensione era stato messo lì con il compito di chiamare l'ingegnere capo in caso di allarme. Purtroppo l'allarme arrivò annunciando una delle più grandi maree della storia accompagnata da una grande alluvione. Il Bepi fece il possibile, chiamò l'ingegnere capo ma, vuoi le linee disturbate, vuoi il dialetto venexiano stretto al quale l'ingegnere capo di origini olandesi non era avvezzo, commise una serie di errori consecutivi ai comandi degli impianti che l'acqua alta sommerse Venezia per 15 giorni e tutte le paratie del Mose risultarono gravemente danneggiate.
Si registrarono danni enormi a tutte le strutture cittadine, il ponte di Rialto danneggiato, i moli distrutti, la Basilica devastata. L'amministrazione Provinciale dichiarò il proprio totale dissesto finanziario e chiese l'aiuto dell'Unione, che però, in una memorabile assemblea dei Capitani delle Province ( i Presidenti avevano cambiato il nome in Capitano della Provincia), a maggioranza, con le solo Province venete contrarie, decisero di abbandonare al suo destino la città di Venetia (già Venezia) assicurando un aiuto individuale agli abitanti che avessero scelto di evacuare la città (priva ormai di servizi pubblici) per trasferirsi nell'entroterra. Già nel 2037 la città e la laguna, devastate dalle maree e dai saccheggi, avevano assunto un'aspetto spettrale, molti alberghi erano divenuti alloggi per la criminalità o depositi per merci di contrabbando.
Grazie all'interessamento di alcune personalità pubbliche ed allo Stato Italiano, il quale però non aveva più titolo ad intervenire direttamente rimanendo la Provincia di Venezia territorio dell'Unione delle Libere Province nel frattempo rinominata Longobardia (in memoria dei mitici Longobardi), l'ONU intervenne a tutela del patrimonio culturale della città procedendo all'invio di 3000 caschi blu con il compito di prendere il controllo di tutti gli edifici pubblici e costituire una struttura amministrativa straordinaria in grado di procedere alla riparazione del Mose ed alla ricostruzione delle strutture di servizio, il tutto per permettere il ritorno degli abitanti e la riapertura delle attività turistiche e commerciali. Nel 2041 a capo dell'amministrazione straordinaria l'ONU pose un italo-americano di origini venete, un certo Mark Polo.
Scendendo più a Sud un discorso a parte merita la ex Regione Toscana che aveva lamentato subito dopo la secessione del 2028 la necessità di una maggiore autonomia nei confronti dello Stato Italiano. Conti alla mano l'Amministrazione regionale aveva dimostrato la sua sostanziale autonomia finanziaria trovandosi in un condizione di indifferenza rispetto ai contributi di solidarietà versati allo Stato e che venivano poi restituiti alla Regione in favore di alcuni comuni montani. Lo Stato italiano, allo scopo di evitare ulteriori secessioni, concesse una assoluta autonomia alla Regione in cambio del riconoscimento della sovranità territoriale e della compartecipazione alle spese di difesa e di politica estera. Di fatto a fronte del pagamento di una quota annuale la Toscana aveva acquistato una totale indipendenza politica e amministrativa. Questa indipendenza e la presenza in costante aumento di cittadini inglesi o di origine britannica portò la Regione a stringere una serie di accordi con la Gran Bretagna finalizzati ad agevolare gli investimenti anglosassoni sul territorio. I massicci investimenti, la presenza di molti cittadini anglo-toscani (la regione istituì una cittadinanza toscana), l'uso dell'inglese nella quasi totalità degli scambi commerciali, nel giro di vent'anni ha trasformato la Toscana in una regione del vecchio Commonwealth britannico che, nel frattempo, era tornato in auge come club commerciale con fini protezionistici per combattere l'espansionismo cinese. L'appartenenza della Tuscany (Toscana) al Nuovo Commonwealth aveva in breve costretto, grazie ad un sistema di controlli sui traffici commerciali mondiali e sulla qualità dei prodotti impiegati, gli investitori cinesi ad abbandonare la regione. Le manifatture cinesi vennero presto riconvertite da investitori inglesi alla lavorazione di tessuti pregiati e lane australiane. Ci furono conflitti con la comunità cinese e molti operai cinesi perso il lavoro furono rimpatriati, altri invece andarono ad ingrossare le comunità insediatesi nel mezzogiorno attorno ai porti di Napoli e di Bari. (segue)

giovedì 10 giugno 2010

L'Italia che verrà - 3 - Il Nord


Ecco un primo approfondimento sul Nord del paese (anche la cartina è più leggibile).
Qualche premessa.
A seguito della trasformazione in stato federale completata nel 2020 tutte le regioni italiane si trovarono ad affrontare seri problemi di bilancio. Il federalismo fiscale, inizialmente strutturato su base regionale, fu - specialmente al nord - decentralizzato affidando ai Comuni (alle esattorie comunali privatizzate) l'accertamento e la riscossione di tutte le imposte e tasse. Sulle prime il sistema di trasferimenti verso lo Stato centrale sembrava funzionare ma dopo un paio d'anni tutte le amministrazioni - anche a causa di gestioni allegre - si trovarono impossibilitate a trasferire i fondi allo Stato centrale per evidenti indisponibilità di cassa.
La mancanza di fondi creò gravi problemi alle amministrazioni statali che sulle prime bloccarono i trasferimenti "di solidarietà" diretti alle amministrazioni sofferenti e successivamente chiusero (ridussero) progressivamente tutte le strutture centrali sul territorio (caserme, prefetture, uffici periferici).
In molti comuni del nord, più ricchi, prese piede l'idea che al posto dello Stato Centrale, non più in grado di erogare molti servizi collettivi, sarebbe stato più conveniente organizzare delle strutture intercomunali - aggregati di Comuni - per la gestione degli interessi collettivi.
Nel 2028 il sistema ferroviario, la cui gestione era divenuta difficile e conflittuale essendo stata frazionata su più livelli amministrativi (la rete allo Stato, le stazioni e le biglietterie - ma non tutte - ai Comuni, i treni alle Regioni, le manutenzione ad associazioni di privati o a multinazionali) collassò a causa di un incidente nella stazione di Bologna. i conflitti a livello decisionale causarono il blocco del traffico ferroviario per 20 giorni, ci furono sommosse di pendolari costretti a fare ricorso a soluzioni alternative approntate dai singoli Comuni e anche da privati che, nell'emergenza, avevano ottenuto la liberalizzazione assoluta del servizio di trasporto (taxi e pullman). Dopo 15 giorni di blocco totale la maggior parte dei Comuni del nord con a capo quello di Bologna decisero di nominare una consulta di esperti e di istituire un fondo di emergenza necessario per pagare i debiti ed eseguire quei lavori strettamente necessari per far ripartire i treni. Da quel momento i Comuni del nord bloccarono tutti i trasferimenti allo Stato centrale impegnadosi però a garantire a tutte le strutture centrali esistenti sul territorio i fondi necessari per il funzionamento a partire dagli stipendi. Fu di fatto la secessione delle amministrazioni comunali dallo Stato centrale. L'anno dopo, nel 2029, i comuni della Lombardia si costituirono come Libere Unione di Comuni su base provinciale. Le province successivamente si confederarono come Libera Unione di Province Padane alla quale aderirono progressivamente la maggior parte delle province del nord del paese, quelle del Piemonte prima, poi il Veneto e la Liguria. L'Emilia Romagna ne uscì malconcia in quanto riemersero a livello locale campanilismi storici e conflitti tali che la posizione di molti Comuni non fu subito chiara. Il Comune di Bologna che pure aveva capeggiato la rivolta non era intenzionato a sganciarsi dal resto del paese anche per conservare quel ruolo che la posizione geografica gli aveva nei secoli assicurato. I Comuni dell'Emilia che inizialmente avrebbero voluto aderire alla Libera Unione si trovarono fisicamente impossibilitati a farlo dalla chiusura dei ponti sul Pò la cui gestione (molto onerosa) era rimasta al Stato centrale che, come risposta, aveva immediatamente imposto un forte pedaggio al transito degli abitanti dei Comuni della Libera Unione. Altre province del nord preferirono invece avviare con gli Stati confinanti una serie di trattative finalizzate alla progressiva integrazione dei loro territori con le amministazioni dei territori limitrofi e storicamente vicini per lingua e tradizioni.
Furono necessari molti anni ma tra il 2035 e il 2040 prima l'Alto Adige poi la Valle d'Aosta ed infine una parte dei comuni del Friuli tra cui Triste divennero nell'ordine territorio austriaco, francese e sloveno. (segue)

L'Italia che verrà -2

Ho preparato una mappa del nostro paese tra 40 anni....
seguono approfondimenti.