Ecco un primo approfondimento sul Nord del paese (anche la cartina è più leggibile).
Qualche premessa.
A seguito della trasformazione in stato federale completata nel 2020 tutte le regioni italiane si trovarono ad affrontare seri problemi di bilancio. Il federalismo fiscale, inizialmente strutturato su base regionale, fu - specialmente al nord - decentralizzato affidando ai Comuni (alle esattorie comunali privatizzate) l'accertamento e la riscossione di tutte le imposte e tasse. Sulle prime il sistema di trasferimenti verso lo Stato centrale sembrava funzionare ma dopo un paio d'anni tutte le amministrazioni - anche a causa di gestioni allegre - si trovarono impossibilitate a trasferire i fondi allo Stato centrale per evidenti indisponibilità di cassa.
La mancanza di fondi creò gravi problemi alle amministrazioni statali che sulle prime bloccarono i trasferimenti "di solidarietà" diretti alle amministrazioni sofferenti e successivamente chiusero (ridussero) progressivamente tutte le strutture centrali sul territorio (caserme, prefetture, uffici periferici).
In molti comuni del nord, più ricchi, prese piede l'idea che al posto dello Stato Centrale, non più in grado di erogare molti servizi collettivi, sarebbe stato più conveniente organizzare delle strutture intercomunali - aggregati di Comuni - per la gestione degli interessi collettivi.
Nel 2028 il sistema ferroviario, la cui gestione era divenuta difficile e conflittuale essendo stata frazionata su più livelli amministrativi (la rete allo Stato, le stazioni e le biglietterie - ma non tutte - ai Comuni, i treni alle Regioni, le manutenzione ad associazioni di privati o a multinazionali) collassò a causa di un incidente nella stazione di Bologna. i conflitti a livello decisionale causarono il blocco del traffico ferroviario per 20 giorni, ci furono sommosse di pendolari costretti a fare ricorso a soluzioni alternative approntate dai singoli Comuni e anche da privati che, nell'emergenza, avevano ottenuto la liberalizzazione assoluta del servizio di trasporto (taxi e pullman). Dopo 15 giorni di blocco totale la maggior parte dei Comuni del nord con a capo quello di Bologna decisero di nominare una consulta di esperti e di istituire un fondo di emergenza necessario per pagare i debiti ed eseguire quei lavori strettamente necessari per far ripartire i treni. Da quel momento i Comuni del nord bloccarono tutti i trasferimenti allo Stato centrale impegnadosi però a garantire a tutte le strutture centrali esistenti sul territorio i fondi necessari per il funzionamento a partire dagli stipendi. Fu di fatto la secessione delle amministrazioni comunali dallo Stato centrale. L'anno dopo, nel 2029, i comuni della Lombardia si costituirono come Libere Unione di Comuni su base provinciale. Le province successivamente si confederarono come Libera Unione di Province Padane alla quale aderirono progressivamente la maggior parte delle province del nord del paese, quelle del Piemonte prima, poi il Veneto e la Liguria. L'Emilia Romagna ne uscì malconcia in quanto riemersero a livello locale campanilismi storici e conflitti tali che la posizione di molti Comuni non fu subito chiara. Il Comune di Bologna che pure aveva capeggiato la rivolta non era intenzionato a sganciarsi dal resto del paese anche per conservare quel ruolo che la posizione geografica gli aveva nei secoli assicurato. I Comuni dell'Emilia che inizialmente avrebbero voluto aderire alla Libera Unione si trovarono fisicamente impossibilitati a farlo dalla chiusura dei ponti sul Pò la cui gestione (molto onerosa) era rimasta al Stato centrale che, come risposta, aveva immediatamente imposto un forte pedaggio al transito degli abitanti dei Comuni della Libera Unione. Altre province del nord preferirono invece avviare con gli Stati confinanti una serie di trattative finalizzate alla progressiva integrazione dei loro territori con le amministazioni dei territori limitrofi e storicamente vicini per lingua e tradizioni.
Furono necessari molti anni ma tra il 2035 e il 2040 prima l'Alto Adige poi la Valle d'Aosta ed infine una parte dei comuni del Friuli tra cui Triste divennero nell'ordine territorio austriaco, francese e sloveno. (segue)
La fantascienza va bene e può essre un divertente esercizio mentale ma dev'essere supportata da un minimo di fattibilità scientifica-sociologica, ovvero ci dev'essere almeno una percentuale seppur bassa ma motivata che i fatti possano accadere... innanzitutto si chiama Trieste e non Triste, secondo non si trova in Friuli ma in Venezia Giulia, terzo un giuliano, specialmente dopo le vicissitudini dell'immediato dopoguerra, difficilmente ripudierebbe lo Stato Italiano, seppur ci sono correnti filoaustriache ma soprattutto non accetterà mai, e sottolineo MAI, di diventare parte della Slovenia
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