martedì 27 dicembre 2011

Governo Monti Fase 2. Spunti

Qualche idea per il Paese. A cominciare da quelle più in voga.
Farmacie. La farmacia è molte cose. Nasce come laboratorio del farmacista che in tal senso è quasi un medico ma finisce per essere una sorta di pick and pay del farmaco, ovvero solo un negozio. Quindi bisogna distinguere attentamente dove finisce il farmacista e dove inizia il commerciante. La parafarmacia è un ibrido che vede nella presenza del farmacista un distinguo rispetto allo scaffale del supermercato... ma attenzione... la sua attività si suggerimento e consiglio è in pratica solo quella di una "supercommessa". 
Soluzioni:  I farmacisti si occupano solo ed esclusivamente delle medicine soggette a controllo medico. Tutto il resto (automedicazione, ecc.) è solo commercio. Libertà e concorrenza assoluta. Tutti i farmacisti "patentati" (ovvero esaminati, tirocinati, valutati, abilitati che dir si voglia) sono uguali e l'attività professionale è libera. Libera farmacia in libero Stato. Come gli ingegneri, gli architetti, i ragionieri, ecc.
Notai. Figura superata. Nasce in una società analfabeta a tutela e conservazione del diritto  privato (si pensi agli archivi notarili, al repertorio degli atti, ecc.). Oggi l'informatizzazione spinta li ha trasformati in un ufficio di coordinamento di figure tecniche a cui tocca il lavoro (geometri, segretarie, agenzie pratiche). Poi se qualcuno sbaglia è sempre colpa dei contraenti (hanno firmato.. quindi) che non beneficiano spesso neppure dell'attività consulenziale che giustificherebbe in parte le esose parcelle. 
Soluzioni: Abolizione dell'attuale sistema e trasformazione dell'attività notarile in una attività ordinaria aperta a tutti gli avvocati con abilitazione specifica.
Professioni liberali in genere. Ingegneri, Avvocati, Commercialisti, Consulenti. Le professioni "protette" hanno ancora senso. Il termine protette però non va riferito ai professionisti ma alla popolazione. Si tratta di attività in genere pericolose e dannose se svolte da incompetenti e/o imprudenti ed occorre proteggere la cittadinanza attraverso delle barriere all'accesso e dei controlli severi. Gli ordini si sono rivelati non in grado perché soggetti alla deriva protezionistica e lobbistica di qualsiasi gruppo omogeneo. 
Soluzioni: abolizione degli ordini ricondotti a club,circoli, o associazioni volontarie in genere. Le abilitazioni, gli esami, i tirocini, tornano nelle mani dello Stato che rilascia le abilitazioni (il caro esame di Stato), cura la formazione, gestisce i tirocini (abbina tirocinante e tutor, l'attività di tutoraggio è obbligatoria e gratuita e, per bilanciare, i tirocini - comunque brevi - non vanno remunerati). Tariffe: tutte (ma proprio tutte) abolite ma vanno definiti dallo Stato degli standard minimi ed un sistema di valutazione/giudizio/arbitrato a tutela del cliente/consumatore ed in grado di valutare la congruità delle parcelle e la qualità del lavoro.
Lavoro pubblico: Troppe distinzioni e diversità all'interno dell'universo del pubblico impiego. Sacche enormi di privilegio fanno da contraltare a situazioni di degrado e di abbandono. L'accesso attraverso concorso  è stato smentito dai fatti e dalle eccezioni da essere esso stesso ormai eccezione. Accanto a carriere fulminanti si assiste a situazioni di trentennale immutabilità di ruolo, funzione, stipendio.
Soluzioni: Azzeramento di tutta la normativa specifica e di settore, ridefinizione in senso unitario del lavoro al Servizio dello Stato e della collettività in genere. Contratto, o Statuto Unico del Lavoro Pubblico, senza distinzioni di amministrazione, ente, arma, divisione, ospedale, istituto, e costruzione del percorso di carriera unico del lavoro pubblico con previsione di modalità di ingresso e di progressione e possibilità di passaggio a pari condizioni da un amministrazione all'altra. Costruzione della tavola di corrispondenza unica che definisce il sistema gerarchico delle amministrazioni pubbliche attraverso la quale un determinato livello possa esistere, ed essere immediatamente confrontato, con gli altri in tutte le amministrazioni pubbliche. A parità di livello pari stipendio in tutta la Nazione. Inoltre: pari lavoro-pari stipendio. Una segretaria è una segretaria in tutto il paese e non ci può essere differenza tra Pantelleria e Piazza Montecitorio. Possibile, anzi fondamentale, la contrattazione decentrata di sede organizzata al livello più basso possibile (produttività dell'ufficio) con attribuzione di specifiche responsabilità alla dirigenza. Va prevista la possibilità di regresso nella scala gerarchica (retrocessione). Abolizione delle incompatibilità oggettive (che non sono uguali per tutti e dove il sistema delle eccezioni risulta deleterio) e massima attenzione su quelle soggettive che palesano il conflitto di interessi. Quindi libertà di incarico, di secondo lavoro, di iniziativa privata, imprenditoriale, purché in assenza totale e assoluta di un qualsiasi conflitto con il lavoro pubblico.Tutte le attività secondarie vanno dichiarate e denunciate e pubblicate in quanto libere e oneste (e tassate ovviamente). Questo permetterà a molti di fare onestamente ripetizioni scolastiche,pulizie, aprire un negozio, produrre vino, ecc.


giovedì 22 dicembre 2011

Articolo 18 .... ma mi faccia il piacere !

Si è aperta un'ingiustificata questione sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Leggiamo il pezzettino incriminato: "....il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro." 
...senza giusta causa o giustificato motivo..... 
Io la interpreto che è possibile licenziare chiunque purché se ne abbia una motivazione concreta. Il giudice decide sulla bontà (giustezza) della motivazione. La domanda che si pone è perché si dovrebbe licenziare qualcuno senza motivo ? Infatti c'è sempre un motivazione per un licenziamento e lo scontro che avviene è tra due discrezionalità: quella del datore di lavoro che ritiene giusto il licenziamento per le "sue" ragioni e quella del giudice che, prendendo i considerazione le posizioni del lavoratore, deve decidere se il datore di lavoro abbia o no fondati motivi.
Lo Statuto tutela il lavoratore principalmente da quelle che potrebbero essere motivazioni pretestuose, umorali, che il datore di lavoro potrebbe opporre; d'altro canto nessuna tutela è ovviamente garantita al lavoratore pigro, improduttivo, truffaldino che, a ragione, può essere licenziato.
Il problema è forse quello che nel nostro paese, forse in considerazione della natura del tessuto produttivo, sempre troppo di stampo padronale, proprietario più che imprenditore, le ragioni concrete, aziendali, produttive con grande facilità si mescolano a fattori pretestuosi, personalistici, con la conseguenza che si cerca  regolarmente a licenziare per ottimi motivi la persona sbagliata, o al contrario si utilizzano motivazioni deboli per  soggetti che invece meriterebbero, anche a tutela dei colleghi, di essere defenestrati.
Credo che l'articolo 18, non solo non può essere toccato, ma addirittura dovrebbe essere esteso a qualsiasi lavoratore dipendente, precariato incluso. Non si capisce infatti la discriminazione tra piccole e grandi aziende, crea differenti diritti tra lavoratori che hanno un vago sapore di incostituzionalità (vedi art. 3 e 4 della Costituzione) o comunque di mancata - o incompleta - attuazione del dettato costituzionale.
Diversa è la questione della giustizia. La discrezionalità del giudice nel valutare le motivazioni dovrebbe essere esercitata in tempi rapidi, rapidissimi. Nel lavoro il tempo è, necessariamente, denaro. L'incertezza costa, e molto, a tutti, lavoratori e imprese. Forse velocizzare e rendere tempestivo l'intervento del giudice, con forme processuali innovative, espressamente mirate a contenere i tempi nell'ordine di pochi giorni, settimane al massimo, potrebbe forse risolvere alcuni dei problemi che l'articolo 18 sembra costituire per l'aumento della dimensione delle aziende che non assumono perché poi non possono licenziare.
Un processo rapido (anche una sorta di arbitrato del lavoro), in cui il giudice tenga conto, magari affiancato da un tecnico, dei fattori aziendali, produttivi, in concreto di quelle che possono essere le giuste motivazioni dell'azienda, e dall'altro lato anche della posizione del lavoratore - comunque da tutelare, potrebbe risolvere alla radice molti problemi del mondo del lavoro; questo addirittura con maggiori tutele per il lavoratore e garanzie per l'impresa; magari riconoscendo la possibilità di reintegro eventualmente condizionato a comportamenti attivi del lavoratore, da valutare caso per caso.
Un imprenditore, anni fa, paragonava un'assunzione ad un matrimonio. In certi casi, diceva, decisamente squilibrato (un po' come in certi matrimoni) per i rischi assunti  in modo diverso dalle parti. Come nelle separazioni e nei divorzi, anche nei licenziamenti, ognuno ha le sue ragioni. Il buon senso vorrebbe che sia molto meno difficile, meno traumatico, interrompere un rapporto di lavoro, che divorziare. Oggi, spesso, non è così.

giovedì 15 dicembre 2011

Lo sciopero: roba superata ?

Tutti i giorni le organizzazioni sindacali parlano di sciopero, minacciano lo sciopero, proclamano lo sciopero. In altri casi sono direttamente il lavoratori che entrano in sciopero per i più diversi motivi. Perché si sciopera? Ovvio, per protestare e cercare di ottenere dalla controparte qualcosa che si desidera in termini di miglioramento delle condizioni di lavoro, di paga, ecc. 
Quindi abbiamo in gioco teoricamente due attori, i lavoratori e la controparte (teoricamente le imprese) e lo sciopero dovrebbe costituire un'azione anche gravosa per i lavoratori ma comunque in grado di intervenire sulla controparte in termini concreti: in parole povere se i lavoratori scioperano la controparte subisce (dovrebbe subire) un danno concreto. Se in un'attività produttiva del settore agricolo o manifatturiero il lavoratori si fermano si assiste ad un concreto blocco della produzione, alla perdita o all'ammaloramento dei frutti, al fermo della catena di montaggio, all'impossibilità di consegnare la merce ed in generale di onorare i contratti. I lavoratori perdono lo stipendio ma l'impresa perde "tutto il resto".
In quelle attività produttive dove la giornata, o le giornate di sciopero, comportano un danno immediato in termini economici lo sciopero rimane, nell'ipotesi di realtà produttive forti e redditizie, probabilmente uno strumento di una qualche efficacia. Se ci si pensa un attimo lo sciopero, il diritto di sciopero, nasce in queste realtà, nell'agricoltura, nell'industria estrattiva o di processo, dove fermarsi è sempre molto costoso per tutti.
Mi domando se oggi, in un mondo molto diverso da quello in cui lo sciopero ha avuto origine ed attuazione come strumento di lotta, questo sia ancora qualcosa di attuale ed efficace. Facciamo qualche analisi:
Sciopero in agricoltura: ha senso fino a quando i prodotti non raggiungono i frigoriferi. A quel punto i tempi si dilatano, le consegne possono essere comunque effettuate almeno finché non si esauriscono i magazzini (tutta la filiera). Occorrono molti giorni prima che certi prodotti inizino a mancare e comunque spesso si tratta di prodotti sostituibili con altri.
Sciopero nell'industria : ha senso solo quando non si fa, ovvero nei periodi di espansione, di forte domanda, quando il blocco della produzione si traduce in riduzione di vendite. Nei periodi, come l'attuale, probabilmente è utile a svuotare qualche magazzino stracolmo e a ridurre i costi di aziende in difficoltà. Rimane incisivo, ma si tratta di posizioni privilegiate, l'interruzione di un certa attività ne danneggia altre con un evidente danno economico.
Sciopero nei trasporti e negli altri servizi pubblici essenziali (sanità): è quello che realizza uno spostamento del danno dalla controparte (che è però in genere pubblica) sulla popolazione. E' uno sciopero molto dannoso ed interviene su meccanismi complessi in cui l'utenza viene danneggiata ingiustamente per fare pressione - attraverso la politica che è costretta ad intervenire a tutela dell'interesse pubblico - sulla controparte (l'azienda pubblica,  ferrovie, ecc.). Lo sciopero in questi settori è un'arma talmente forte e squilibrata che è limitato per legge. E' mia opinione che, visto il gran numero degli scioperi specialmente nel settore dei trasporti, questo sia oggi sproporzionatamente vantaggioso per i lavoratori e gli addetti del settore (in grado di ricattare l'interlocutore a fronte di un costo/rischio minimo). Probabilmente andrebbe del tutto vietato lo sciopero assimilando certi settori alla difesa ed alle forze dell'ordine.
Sciopero nei servizi: dipende molto dalla natura del servizio. Nelle attività a maggiore contenuto intellettuale l'interruzione del lavoro, se non prorogata nel tempo, non è in grado di fare molti danni alla controparte. Nel commercio visto la dimensione media delle strutture è sconosciuto se non nella grande distribuzione, dove avrebbe efficacia solo se riuscisse a spostare il danno sulla popolazione (ma dovrebbero scioperare "tutti" i supermercati, e rimarrebbero comunque delle alternative). 
Sciopero nella Pubblica Amministrazione: se si è in presenza di attività rivolte al pubblico (p.es. uffici postali, tribunali) si effettua lo spostamento del danno sull'utenza e si ricade, con minore forza per il minore impatto, nel campo dei servizi pubblici essenziali . Nelle altre attività amministrative lo sciopero è solo un risparmio per le casse dello Stato (ne più ne meno di un'azienda in crisi e con eccesso di manodopera), qualche giorno di fermo non è proprio un problema.
Sembrerebbe che lo sciopero sia uno strumento efficace per chi già si trova in un posizione molto forte, con compiti importanti e posizioni chiave (spesso già ben tutelate e pagate, si pensi ai macchinisti o ai piloti). Vince chi ha la forza del numero e dell'esclusiva, per i piccoli e meno tutelati nell'universo della PMI italiana suona solo come un'autoriduzione del salario o dello stipendio. 
I precari, i vari co.co.pro., gli interinali, i part-time, si sa, non scioperano. Non scioperano perché poco tutelati, mediamente poveri (una giornata persa "pesa"), e spesso non indispensabili o comunque rimpiazzabili.
Ma se il lavoro nuovo e moderno è tutto all'insegna della flessibilità e della precarietà ci saranno ancora scioperi in futuro?

venerdì 25 novembre 2011

Tutta colpa della bolla

Immaginiamo un sistema economico chiuso piccolo quanto vogliamo, un modellino dell'economia globale a scala molto ridotta, un'isola al centro del Pacifico. In questa microeconomia abbiamo a scala ridotta tutti le componenti dell'economia mondiale. Abbiamo gli scambi, la produzione (pesca, agricoltura, ecc.), una moneta (conchiglie, sassi dipinti... fate voi), dei risparmi, una dotazione di capitale (immobili, attrezzature, ecc.) e così via dicendo. La quantità di moneta è fissata da anni ed ha volume tale da permettere che la quasi totalità degli scambi avvenga in moneta, questo perché l'isola anche se piccola è abbastanza grande, e comunque con caratteristiche tali da far funzionare un'economia di libero mercato. Per semplicità diciamo che sull'isola ci sono 1000 case che valgono 1000 conchiglie e che la popolazione dispone di moneta in media per 1000 conchiglie a famiglia. Se vendo una casa la mia famiglia disporrà di 2000 conchiglie e di contro un'altra famiglia avrà due case e 0 conchiglie. In ogni momento c'è sull'isola chi ha casa più grande e meno conchiglie oppure l'inverso e c'è pure chi ha sia case che conchiglie (i più ricchi) e chi non ha casa e poche conchiglie (i più poveri) ma "in media" la situazione è tale che c'è qualcuno che ha risparmiato le 1000 conchiglie per comprare e qualcuno che è disposto a vendere la casa per 1000 conchiglie.
In questo sistema equilibrato improvvisamente avviene un cambiamento, senza apparente motivo e molto rapidamente il prezzo delle case raddoppia. Ora occorrono 2000 conchiglie per comprare una casa anche se la popolazione dispone ancora in media di sole 1000 conchiglie a famiglia. Che succede:
- chi dispone in quel momento di più case che conchiglie diventa teoricamente più ricco;
- chi stava risparmiando conchiglie diventa improvvisamente più povero e costretto ad accantonare il doppio per arrivare ad acquistare casa e pensa eventualmente di indebitarsi;
- chi dispone di conchiglie e non ha bisogno di comprare casa è disposto a prestarle, ma visto che molti hanno bisogno di conchiglie chiede interessi via via più elevati al crescere della domanda e del rischio.
In concreto le conchiglie non bastano più per tutti ed il numero dei poveri (senza casa e senza conchiglie) non fa che aumentare a vantaggio di chi, avendo ad esempio due case, si ritrova vendendone una con una casa e 2000 conchiglie (1000 conchiglie in più che ovviamente a qualcuno mancano essendo fissato il quantitativo di conchiglie). Ovviamente chi sta in mezzo, chi ha casa ma anche un po' di conchiglie, diciamo una casa e 1000 conchiglie (3000 conchiglie di patrimonio complessivo) non vede nell'immediato una effettiva variazione ma qualsiasi variazione sul fronte immobiliare incide in maniera doppia sulla sua disponibilità di conchiglie e lo obbliga, se ad esempio vuole comprare, a guadagnare di più  vendendo più cari i suoi prodotti (pesce, grano, ecc.); questo causa un aumento dei prezzi generalizzato "per trascinamento" dovuto all'aumento dei prezzi delle case. Alla lunga l'iniziale disponibilità media di 1000 conchiglie a famiglia non basta più perché l'aumento dei prezzi supera le disponibilità delle singole famiglie; ad esempio quelle più povere non hanno la disponibilità  di conchiglie necessarie per comprare alcuni prodotti, e se ne vendono meno. L'economia rallenta e si assiste ad una concentrazione della ricchezza a favore di chi al momento de repentino cambio di valore degli immobili disponeva già di una maggiore ricchezza, inizia a accumulare conchiglie (anche attraverso gli interessi su quelle che presta) in quantità tale da non riuscirle più a spenderle. Ma non può neanche prestarle a cuor leggero perché aumentano sempre di più i prestiti che non vengono restituiti; quindi quando presta le sue conchiglie chiede interessi sempre più alti.
Come si esce da questa situazione:
a: dimezzando il prezzo delle case
b: raddoppiando la quantità di conchiglie disponibili
(Entrambe cose impraticabili).
Si potrebbe osservare che dove la disponibilità di conchiglie per gli scambi scendesse al di sotto di un certo livello di guardia (perché tutte chiuse nelle casse di un numero limitato di persone), in alcuni gruppi poveri di conchiglie potrebbe essere necessario, per permettere gli scambi, tornare al baratto o all'utilizzo di prodotti come monete sostitutive. In quest'ultimo caso i prodotti (p.es. sacchi di farina) potrebbero "ampliare" in senso lato la "liquidità disponibile".
Per arrivare ad una conclusione sarei portato a pensare che l'aumento del valore degli immobili (la ormai famigerata "bolla immobiliare") è la principale causa dell'attuale crisi economica, essendo risultato in seguito, con ogni probabilità, insufficiente lo stock di moneta disponibile nelle tasche dei cittadini con una conseguente "crisi di liquidità" via via allargata a tutto il mondo occidentale.
Ancora oggi non ci sono in concreto abbastanza soldi in circolazione (salari ,stipendi) necessari a far "girare bene" l'economia che gira come girano degli ingranaggi senza olio, ovvero destinati a rallentare e a bloccarsi.
Urge aggiungere olio (denaro liquido) al sistema o comunque spostarne da dove ristagna a dove ce ne è maggiormente bisogno. (Patrimoniale ? Rendite finanziarie ? Detassazione del lavoro ? ).

lunedì 12 settembre 2011

La Pubblica Amministrazione siamo noi (lo so, sono di parte, però...)


C’è una corrente di pensiero, negli ultimi anni assolutamente maggioritaria credo in gran parte del’occidente, che ritiene la Pubblica Amministrazione uno dei fattori limitativi dello sviluppo a causa dei suoi malfunzionamenti, della sua storica “rigidità” ed inefficienza. Questa posizione è all'origine di tutte quelle iniziative che puntano a ridurre la dimensione, l’importanza e specialmente i costi della “mano pubblica” per sostituirla con soluzioni alternative ispirate all'economia di mercato, alla libera concorrenza, all’iniziativa privata.
Sarebbe utile ricordare ai promotori di questa visione che la Pubblica Amministrazione non è una malattia, un ostacolo naturale od una credenza tribale destinata a scomparire con il progredire della scienza e della tecnologia, ma è un’invenzione dell’uomo, una necessità, la soluzione di un problema.
La Pubblica Amministrazione  compare nella storia in tempi relativamente recenti, prima – fino al medioevo -  potremmo dire che non esisteva. La Pubblica Amministrazione nasce e cresce di importanza essenzialmente in riferimento allo sviluppo di modelli partecipativi, è collegata alla democrazia. L’amministrazione è pubblica  perché è di tutti, altrimenti diventa amministrazione della cosa pubblica da parte di pochi o forse di uno solo, che è la monarchia o la dittatura.
Se in ossequio alle idee liberiste trasferissimo la gestione di tutti i servizi pubblici a dei privati potremmo arrivare al paradosso che pochi singoli –  e teoricamente addirittura uno solo (un monopolista)– divenga amministratore di tutto, raccolga le tasse, assuma e comandi gli eserciti, costruisca ospedali e scuole, assegni gli alloggi e perché no amministri la giustizia. Diverrebbe lui stesso lo Stato. Quando la Pubblica Amministrazione cede il passo all’impresa ed all’iniziativa capitalistica in certi settori inevitabilmente il sistema perde punti in termini di democrazia, tutti perdiamo un po’ di importanza e di libertà.
La dimensione e i costi della Pubblica Amministrazione potrebbero anzi essere considerati forse un indicatore di democrazia; li proprio dove la pressione fiscale è più elevata, si pensi ai paesi del Nord Europa, assistiamo a forme di democrazia più “compiuta” e senza che questo costituisca alcun limite allo sviluppo.
Se è vero che i malfunzionamenti e le inefficienze possono costituire un problema e un vincolo per l’avvio di certe iniziative, ovvero limitare un certo sviluppo economico, di contro la Pubblica Amministrazione costituisce l’unico ed il fondamentale custode e tutore degli interessi collettivi, da sempre e sempre più spesso in contrasto con gli interessi dei singoli o delle lobby.
La Pubblica Amministrazione è l’esecutore della volontà collettiva che viene “definita” attraverso gli strumenti della democrazia mediata di cui disponiamo (il Parlamento, il Governo). Molte disfunzioni sono anche da ricondurre a questa “mediazione” spesso causa di indicazioni contraddittorie e non sempre trasparenti; chissà se modelli e forme di democrazia diretta non siano in grado risolvere molti dei problemi della Pubblica Amministrazione.
Se più Pubblica Amministrazione vuol dire più democrazia, allora una Pubblica Amministrazione migliore è allo stesso tempo  presupposto e sintomo di un democrazia  moderna e funzionale, promotrice di forme di sviluppo  equilibrato ed  egualitario, sotteso a dinamiche redistributive della ricchezza, e non  mirato al solo incremento del PIL, incremento costato quella crescita delle disparità economiche sociali che stanno conoscendo molti paesi in quest’ultimo ventennio definibile post-comunista.
La ri-attribuzione di questo fondamentale ruolo di “specchio della democrazia” alla Pubblica Amministrazione è forse la prima e fondamentale innovazione della quale la politica dovrebbe farsi promotrice. Come uno specchio può deformare le immagini, la collettività spesso non si riconosce nella Pubblica Amministrazione e quello che vede non è se stessa, come dovrebbe essere, ma spesso solo la sua parte peggiore.
E’ vero, l’innovazione tecnologica è importante, come anche possono esserlo nuovi modelli organizzativi, ma fondamentale innovazione potrebbe essere – anche proprio attraverso la tecnologia  – l’avvicinamento della cittadinanza  alla Pubblica Amministrazione in un sistema di interrelazioni forti, qualcosa di non dissimile dal rapporto che ognuno di noi ha con l’amministratore del condominio dove abita. Si deve in qualche modo ridurre la distanza tra lo specchio e la collettività per ridurre le deformazioni.
Ovviamente questo sistema è tutto da definire, da regolamentare, ma lo scopo è quello di dare confidenza del fatto che la volontà e gli interessi collettivi siano effettivamente  “nelle corde” della Pubblica Amministrazione.
Nell’ambito dei procedimenti amministrativi, pure trasformati in maniera radicale negli anni attraverso la trasparenza amministrativa, non si riesce ancora a trasformare il rapporto singolo-P.A.  ma anche il rapporto cittadinanza-P.A. in qualcosa di utile e collaborativo e diverso da quella terribile “caccia all’errore” che contrappone la PA e i suoi interlocutori, e riempie di lavoro i tribunali amministrativi con conseguenti  ritardi  e sprechi di risorse.
Deve tornare ad essere ben chiaro il concetto che “la Pubblica Amministrazione siamo noi “ e non un soggetto terzo e lontano, un variabile indipendente ed imprevedibile, ma piuttosto un circolo, se vogliamo esclusivo, a cui tutti siamo iscritti come soci (cittadini) attivi.

giovedì 1 settembre 2011

Settembre

Primo settembre. Settembre mi riporta sempre alla mente la poesia di D'Annunzio che ho imparato alle elementari (credo) e della quale ricordo sempre la prima strofa:


I PASTORI
Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

(ecco anche le altre)

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.


E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!


Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.


Ah perché non son io cò miei pastori?




lunedì 18 luglio 2011

COSTI DELLA POLITICA - Le mie proposte

Sull'onda della mancata approvazione di un qualsiasi minimo intervento ai costi della "casta" sono uscite fuori una serie di proposte per la riduzione dei costi, anche in conseguenza della simpatica iniziativa che mette (o meglio rimette) alla berlina i parlamentari con la loro sfilza di privilegi. Lasciate che anch'io presenti le mie proposte migliorando quelle del PD:
  • Riduzione numero dei parlamentari. Una sola camera con un numero variabile di parlamentari proporzionali agli abitanti di ogni singola Regione in ragione di un parlamentare ogni 100-150.000 abitanti. Collegi uninominali a doppio turno. Sarebbe una camera sia federale che nazionale.
  • Retribuzioni dei parlamentari. Allineate alla media europea e non più a quelle dei magistrati. Anche quelle dei magistrati vanno allineate alla media europea.
  • Vitalizi. Aboliti. Vale la contribuzione figurativa del lavoro che un eletto aveva prima di diventare deputato. Allo scopo di combattere i professionisti della politica si passa ad un massimo di due mandati (se va bene per il Presidente degli Stati Uniti potrà funzionare anche per un deputato).
  • Risparmi e trasparenza su affitti e servizi. Contrazione degli spazi occupati dai parlamentari. Per il tempo necessario è sufficiente un scrivania in un openspace. Portaborse e personale di aiuto assegnato d'ufficio (eventualmente sorteggiato) e preselezionato con concorso come i comuni dipendenti pubblici.
  • Abolizione di piccoli comuni con unificazione delle funzioni amministrative e istituzione dellafigura dell'assessore di zona con deleghe territoriali al posto dei sindaci e delle giunte.
  • Abolizione delle province, oppure in alternativa,
  • Abolizione delle Regioni ed accorpamento delle Province che devono tornare ad essere molto meno di 100 , bilanciate tra numero minimo di abitanti ed una massima estensione territoriale.Abolizione di tutte le Società partecipate da Stato ed enti locali e loro inserimento in organico nelle strutture di diritto pubblico. Allineamento dei costi del personale (e di gestione) di queste strutture a quelli pubblici, riduzione, blocco di stipendi ecc. (comporterebbe enormi risparmi).
  • Abolizione della figura del manager pubblico che torna ad essere un dirigente pubblico (è una conseguenza della precedente), con costi molto molto inferiori e dati dalla legge.
  • Abolizione di auto e voli blu. Rimborso a piè di lista dei servizi pubblici (con tetto di spesa) o in alternativa - previa richiesta - ricorso ai mezzi militari (quelli verdi e con le scritte.. altro che bleu.)
  • mercoledì 15 giugno 2011

    Quattro SI

    Beh, un'analisi del voto referendario proprio non la posso evitare.
    In generale si osserva che l'Italia è il paese del "bastian contrario" e che l'unico modo per far fare qualche cosa agli italiani è cercare fortissimamente di impedirglielo. Tutti i tentativi di svuotare i referendum e di disinteressare la popolazione sono falliti miseramente. Lo spostamento lontano dalle elezioni amministrative, la modifica della legge sul nucleare, il "meglio andare al mare" di craxiana memoria, tutte operazioni che hanno mosso l'animo donchisciottesco degli italiani che non sanno resistere alle sfide e che di conseguenza sono andati a votare certo per convinzione ma anche per dispetto.
    Stranamente in questo Berlusconi ha sbagliato tutto (perde colpi... perde colpi..), non ne ha azzeccata una.
    Se avesse mostrato indifferenza, assecondato i referendari in tutto e per tutto, anche lasciando votare i referendum insieme alle amministrative, se pure si fosse raggiunto il quorum le percentuali della sconfitta sarebbero state meno drammatiche. Si, a Milano e Napoli forse la partecipazione sarebbe stata trascinata dalle amministrative, ma i romani come molti altri non interessati dal voto amministrativo,la gran parte degli svogliati, se ne sarebbero andati al mare volentieri. Avrebbero detto "ci sarebbe da votare per i referendum... ma noi non c'abbiamo le amministrative ... non ne vale la pena, decideranno gli altri".
    Invece Berlusconi ha alzato il tiro, quasi a voler sfidare il paese, e ha perso.
    Nei contenuti invero cambia nulla o poco. Il nucleare di riffa o di raffa s'era comunque bloccato per l'evidente e manifesta contrarietà popolare; il legittimo impedimento oramai era in scadenza; e i due quesiti su acqua e servizi pubblici non potendo annullare il pregresso costituiranno solo un indirizzo per il futuro, con la necessità tra l'altro di ri-normare tutto il settore (un altro problema da risolvere per al prossima legislatura - questa certo non farà nulla non potendo legiferare in senso contrario alla volontà della maggioranza che aveva approvato le vecchie norme).
    Non so se ci avete fatto caso, ma proprio per lo spirito di contraddizione degli italiani, da quando Berlusconi cerca di sdoganare come "accettabili" la sua condotta e il suo stile di vita - invero molto discutibili, mi sembra di assistere ad un moralizzazione del paese (almeno a parole), tutti sono un pochino più severi e meno disposti a tollerare furberie, scappatelle e marachelle varie.
    Credo proprio che se Berlusconi a Napoli dicesse "fottetevene della differenziata" di sicuro le percentuali della raccolta di carta, vetro e metalli schizzerebbero a livelli altissimi.


    giovedì 17 marzo 2011

    Viva l'Italia Unita


    Ho osservato che su FB con l'occasione del centocinquantenario stanno uscendo fuori allo scoperto una sfilza di borbonici e papalini.
    La cosa, che potrebbe sembrare goliardica, avvia discussioni che pretendono di sembrare serie ma che in realtà manifestano come dentro molti si nasconda - e venga allo scoperto anche a volte solo per gioco - "il leghista che è in noi" il quale punta al voler separare, distinguere e differenziare a tutti i costi le varie posizioni.
    Il voler essere "altro" e distinguersi a tutti i costi è un sentimento profondamente umano ma conosce delle degenerazioni che passano dal semplice acceso campanilismo fino ad arrivare alle teorie della razza ed altre assurdità della storia.
    Certo è che in questo paese, senza dei punti di riferimento comuni, non saremo mai in grado ne di definire e tracciare una rotta ne di percorrerla.
    Buon compleanno Italia.

    lunedì 14 marzo 2011

    Riforma della giustizia. Cui prodest?

    Ho dato un'occhiata a testo di riforma costituzionale sulla giustizia e ho cercato di capire queste innovazioni a chi giovano, chi è il beneficiario delle proposte del Governo. I cambiamenti in realtà pure cospicui non stravolgono l'impianto generale.
    Iniziamo dalla divisione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. Questa cosa in concreto non riguarda i cittadini ma solo i magistrati. Viene scorporata dalla magistratura come la conosciamo oggi tutta la pubblica accusa, la quale viene in qualche modo assoggettata ad un indirizzo politico ed ad un controllo disciplinare sempre prevalentemente politico. L'autogoverno è in parte" sterilizzato" attraverso un sistema di nomine che tende a far prevalere la parte politica (si parla di un sorteggio degli eleggibili per la parte scelta dai magistrati negli organi di governo e di disciplina.. cosa tutta da studiare). Inoltre i magistrati potranno essere più facilmente trasferiti. Questa parte evidentemente interessa esclusivamente i magistrati e il rapporto tra poteri dello stato spostando un pochino la bilancia verso il potere politico. Per il semplice cittadino non cambierà assolutamente nulla.
    Per semplice cittadino intendo la stragrande maggioranza degli italiani per i quali i rapporti con la giustizia si limitano a problemi di natura civile, di assicurazioni, di rimborsi, di lavoro, di appalti e, se passiamo nel penale, sono le vittime di furti e rapine ed in certi casi di violenza. Diciamo in breve "i buoni" per distinguerli dai "i cattivi" che sono quelli che compiono reati, gli approfittatori, i truffatori, insomma una ridottissima minoranza del paese.
    Passiamo ora all'azione penale che verrà indirizzata dalla politica. In pratica a valle di un codice penale che continua a definire i reati l'indirizzo politico suggerirà ai Pubblici Ministeri di occuparsi prevalentemente di questo e tralasciare quello sulla base probabilmente dell'onda emotiva di fatti o episodi contingenti. I reati minori probabilmente verranno in concreto legalizzati perché considerati "poco rilevanti". Già oggi scippi e furti spesso non vengono neanche denunciati per le note difficoltà delle forze dell'ordine che non arrivano a tutto. In futuro probabilmente non verranno neppure perseguiti (una resa a tutti gli effetti nei confronti della microcriminalità). Si tratta in questo caso, evidentemente, di una riforma a favore dei "cattivi", alla faccia dei semplici cittadini sempre più costretti ad arrangiarsi. Il fatto di concentrarsi sui "fatti importanti" fa sorgere immediatamente la domanda "importanti per chi ?".
    Passiamo ora all'inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Questa norma parte dall'assunto che chi viene sottoposto a processo sia tendenzialmente sempre innocente e quindi il processo è un incidente dovuto all'imperizia del PM cha va ad imputare sempre le persone sbagliate. Questa cosa fa inoltre il paio con la responsabilità personale del magistrato che in genere oltre ad accusare la persona sbagliata (per pura cattiveria) la condanna anche ingiustamente ad una ingiusta detenzione.
    Sappiamo tutti benissimo che le cose non stanno così !
    Stiamo sempre a lamentarci che nel nostro paese non si condanna mai nessuno.. che nessuno va mai in galera... e se ci va, esce subito !
    Appare chiaro che l'assunto non è la posizione del semplice cittadino ma è quella del "reo", del colpevole, che ovviamente si ritene sempre innocente e perseguitato. Si tratta quindi di innovazioni che trovano ampio consenso nel mondo criminale dove un "riequilibrio in favore della difesa" è certo visto di buon occhio.
    In concreto con l'idea di tutelare il cittadino accusato ingiustamente si interviene a tutela e a vantaggio dei responsabili di reati che si ritrovano con qualche possibilità in più di passarla liscia (e di chiedere pure i danni !). D'altro canto i cittadini accusati ingiustamente, che per fortuna sono un numero limitatissimo, non avranno nessun particolare giovamento anzi, i loro indennizzo oggi regolato dalla legge e garantito dallo Stato rischia di dover passare attraverso le pastoie di una causa civile contro la società di assicurazione (loro si avranno del lavoro in più).
    In sintesi:
    Chi ci rimette: i magistrati principalmente, le vittime dei reati non di interesse politico.
    Chi ci guadagna: chi commette reati in genere ed in particolare chi commette quelli ritenuti di minore interesse, le compagnie di assicurazione, il potere esecutivo che indirizzerà l'azione della pubblica accusa.
    In dubbio: i cittadini accusati ingiustamente, se assolti, potrebbero godere dell'inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado. Va da se che se condannati ingiustamente nulla cambia potendosi arrivare (di errore in errore) a concludere sfavorevolmente tutti i gradi di giudizio.
    E questa è una riforma epocale della giustizia ? Direbbe Totò : "Ma mi faccia il piacere !"
    Piuttosto è una vendetta, consumata a freddo a distanza di vent'anni, di una classe che, faticosamente sopravvissuta a tangentopoli, cerca oggi di affermare una superiorità ed una preminenza di un potere sugli altri, una visione medioevale del governo, un potere unitario - preferibilmente dinastico - che si perpetua in mano ad oligarchie economiche che aspirano a collocarsi al di sopra della legge.
    Porca miseria, ci mancava solo il neo-feudalesimo .....

    sabato 22 gennaio 2011

    Berlusconite

    Ho scoperto l'esistenza di una nuova malattia la berlusconite. Il primo sintomo è la "chiusura di un occhio". Quando senti "su questo è meglio chiudere un occhio".. bene.. quello è il primo sintomo. Agli inizi non è grave .. ma poi con il tempo .. ti trovi a chiudere tutti e due gli occhi, le orecchie e pure la bocca e a pensare che va tutto bene e che in fondo tutto è possibile, tutto e permesso. Speriamo, come diceva Montanelli, che una volta superata la malattia, si diventi immuni.