martedì 27 dicembre 2011

Governo Monti Fase 2. Spunti

Qualche idea per il Paese. A cominciare da quelle più in voga.
Farmacie. La farmacia è molte cose. Nasce come laboratorio del farmacista che in tal senso è quasi un medico ma finisce per essere una sorta di pick and pay del farmaco, ovvero solo un negozio. Quindi bisogna distinguere attentamente dove finisce il farmacista e dove inizia il commerciante. La parafarmacia è un ibrido che vede nella presenza del farmacista un distinguo rispetto allo scaffale del supermercato... ma attenzione... la sua attività si suggerimento e consiglio è in pratica solo quella di una "supercommessa". 
Soluzioni:  I farmacisti si occupano solo ed esclusivamente delle medicine soggette a controllo medico. Tutto il resto (automedicazione, ecc.) è solo commercio. Libertà e concorrenza assoluta. Tutti i farmacisti "patentati" (ovvero esaminati, tirocinati, valutati, abilitati che dir si voglia) sono uguali e l'attività professionale è libera. Libera farmacia in libero Stato. Come gli ingegneri, gli architetti, i ragionieri, ecc.
Notai. Figura superata. Nasce in una società analfabeta a tutela e conservazione del diritto  privato (si pensi agli archivi notarili, al repertorio degli atti, ecc.). Oggi l'informatizzazione spinta li ha trasformati in un ufficio di coordinamento di figure tecniche a cui tocca il lavoro (geometri, segretarie, agenzie pratiche). Poi se qualcuno sbaglia è sempre colpa dei contraenti (hanno firmato.. quindi) che non beneficiano spesso neppure dell'attività consulenziale che giustificherebbe in parte le esose parcelle. 
Soluzioni: Abolizione dell'attuale sistema e trasformazione dell'attività notarile in una attività ordinaria aperta a tutti gli avvocati con abilitazione specifica.
Professioni liberali in genere. Ingegneri, Avvocati, Commercialisti, Consulenti. Le professioni "protette" hanno ancora senso. Il termine protette però non va riferito ai professionisti ma alla popolazione. Si tratta di attività in genere pericolose e dannose se svolte da incompetenti e/o imprudenti ed occorre proteggere la cittadinanza attraverso delle barriere all'accesso e dei controlli severi. Gli ordini si sono rivelati non in grado perché soggetti alla deriva protezionistica e lobbistica di qualsiasi gruppo omogeneo. 
Soluzioni: abolizione degli ordini ricondotti a club,circoli, o associazioni volontarie in genere. Le abilitazioni, gli esami, i tirocini, tornano nelle mani dello Stato che rilascia le abilitazioni (il caro esame di Stato), cura la formazione, gestisce i tirocini (abbina tirocinante e tutor, l'attività di tutoraggio è obbligatoria e gratuita e, per bilanciare, i tirocini - comunque brevi - non vanno remunerati). Tariffe: tutte (ma proprio tutte) abolite ma vanno definiti dallo Stato degli standard minimi ed un sistema di valutazione/giudizio/arbitrato a tutela del cliente/consumatore ed in grado di valutare la congruità delle parcelle e la qualità del lavoro.
Lavoro pubblico: Troppe distinzioni e diversità all'interno dell'universo del pubblico impiego. Sacche enormi di privilegio fanno da contraltare a situazioni di degrado e di abbandono. L'accesso attraverso concorso  è stato smentito dai fatti e dalle eccezioni da essere esso stesso ormai eccezione. Accanto a carriere fulminanti si assiste a situazioni di trentennale immutabilità di ruolo, funzione, stipendio.
Soluzioni: Azzeramento di tutta la normativa specifica e di settore, ridefinizione in senso unitario del lavoro al Servizio dello Stato e della collettività in genere. Contratto, o Statuto Unico del Lavoro Pubblico, senza distinzioni di amministrazione, ente, arma, divisione, ospedale, istituto, e costruzione del percorso di carriera unico del lavoro pubblico con previsione di modalità di ingresso e di progressione e possibilità di passaggio a pari condizioni da un amministrazione all'altra. Costruzione della tavola di corrispondenza unica che definisce il sistema gerarchico delle amministrazioni pubbliche attraverso la quale un determinato livello possa esistere, ed essere immediatamente confrontato, con gli altri in tutte le amministrazioni pubbliche. A parità di livello pari stipendio in tutta la Nazione. Inoltre: pari lavoro-pari stipendio. Una segretaria è una segretaria in tutto il paese e non ci può essere differenza tra Pantelleria e Piazza Montecitorio. Possibile, anzi fondamentale, la contrattazione decentrata di sede organizzata al livello più basso possibile (produttività dell'ufficio) con attribuzione di specifiche responsabilità alla dirigenza. Va prevista la possibilità di regresso nella scala gerarchica (retrocessione). Abolizione delle incompatibilità oggettive (che non sono uguali per tutti e dove il sistema delle eccezioni risulta deleterio) e massima attenzione su quelle soggettive che palesano il conflitto di interessi. Quindi libertà di incarico, di secondo lavoro, di iniziativa privata, imprenditoriale, purché in assenza totale e assoluta di un qualsiasi conflitto con il lavoro pubblico.Tutte le attività secondarie vanno dichiarate e denunciate e pubblicate in quanto libere e oneste (e tassate ovviamente). Questo permetterà a molti di fare onestamente ripetizioni scolastiche,pulizie, aprire un negozio, produrre vino, ecc.


giovedì 22 dicembre 2011

Articolo 18 .... ma mi faccia il piacere !

Si è aperta un'ingiustificata questione sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Leggiamo il pezzettino incriminato: "....il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro." 
...senza giusta causa o giustificato motivo..... 
Io la interpreto che è possibile licenziare chiunque purché se ne abbia una motivazione concreta. Il giudice decide sulla bontà (giustezza) della motivazione. La domanda che si pone è perché si dovrebbe licenziare qualcuno senza motivo ? Infatti c'è sempre un motivazione per un licenziamento e lo scontro che avviene è tra due discrezionalità: quella del datore di lavoro che ritiene giusto il licenziamento per le "sue" ragioni e quella del giudice che, prendendo i considerazione le posizioni del lavoratore, deve decidere se il datore di lavoro abbia o no fondati motivi.
Lo Statuto tutela il lavoratore principalmente da quelle che potrebbero essere motivazioni pretestuose, umorali, che il datore di lavoro potrebbe opporre; d'altro canto nessuna tutela è ovviamente garantita al lavoratore pigro, improduttivo, truffaldino che, a ragione, può essere licenziato.
Il problema è forse quello che nel nostro paese, forse in considerazione della natura del tessuto produttivo, sempre troppo di stampo padronale, proprietario più che imprenditore, le ragioni concrete, aziendali, produttive con grande facilità si mescolano a fattori pretestuosi, personalistici, con la conseguenza che si cerca  regolarmente a licenziare per ottimi motivi la persona sbagliata, o al contrario si utilizzano motivazioni deboli per  soggetti che invece meriterebbero, anche a tutela dei colleghi, di essere defenestrati.
Credo che l'articolo 18, non solo non può essere toccato, ma addirittura dovrebbe essere esteso a qualsiasi lavoratore dipendente, precariato incluso. Non si capisce infatti la discriminazione tra piccole e grandi aziende, crea differenti diritti tra lavoratori che hanno un vago sapore di incostituzionalità (vedi art. 3 e 4 della Costituzione) o comunque di mancata - o incompleta - attuazione del dettato costituzionale.
Diversa è la questione della giustizia. La discrezionalità del giudice nel valutare le motivazioni dovrebbe essere esercitata in tempi rapidi, rapidissimi. Nel lavoro il tempo è, necessariamente, denaro. L'incertezza costa, e molto, a tutti, lavoratori e imprese. Forse velocizzare e rendere tempestivo l'intervento del giudice, con forme processuali innovative, espressamente mirate a contenere i tempi nell'ordine di pochi giorni, settimane al massimo, potrebbe forse risolvere alcuni dei problemi che l'articolo 18 sembra costituire per l'aumento della dimensione delle aziende che non assumono perché poi non possono licenziare.
Un processo rapido (anche una sorta di arbitrato del lavoro), in cui il giudice tenga conto, magari affiancato da un tecnico, dei fattori aziendali, produttivi, in concreto di quelle che possono essere le giuste motivazioni dell'azienda, e dall'altro lato anche della posizione del lavoratore - comunque da tutelare, potrebbe risolvere alla radice molti problemi del mondo del lavoro; questo addirittura con maggiori tutele per il lavoratore e garanzie per l'impresa; magari riconoscendo la possibilità di reintegro eventualmente condizionato a comportamenti attivi del lavoratore, da valutare caso per caso.
Un imprenditore, anni fa, paragonava un'assunzione ad un matrimonio. In certi casi, diceva, decisamente squilibrato (un po' come in certi matrimoni) per i rischi assunti  in modo diverso dalle parti. Come nelle separazioni e nei divorzi, anche nei licenziamenti, ognuno ha le sue ragioni. Il buon senso vorrebbe che sia molto meno difficile, meno traumatico, interrompere un rapporto di lavoro, che divorziare. Oggi, spesso, non è così.

giovedì 15 dicembre 2011

Lo sciopero: roba superata ?

Tutti i giorni le organizzazioni sindacali parlano di sciopero, minacciano lo sciopero, proclamano lo sciopero. In altri casi sono direttamente il lavoratori che entrano in sciopero per i più diversi motivi. Perché si sciopera? Ovvio, per protestare e cercare di ottenere dalla controparte qualcosa che si desidera in termini di miglioramento delle condizioni di lavoro, di paga, ecc. 
Quindi abbiamo in gioco teoricamente due attori, i lavoratori e la controparte (teoricamente le imprese) e lo sciopero dovrebbe costituire un'azione anche gravosa per i lavoratori ma comunque in grado di intervenire sulla controparte in termini concreti: in parole povere se i lavoratori scioperano la controparte subisce (dovrebbe subire) un danno concreto. Se in un'attività produttiva del settore agricolo o manifatturiero il lavoratori si fermano si assiste ad un concreto blocco della produzione, alla perdita o all'ammaloramento dei frutti, al fermo della catena di montaggio, all'impossibilità di consegnare la merce ed in generale di onorare i contratti. I lavoratori perdono lo stipendio ma l'impresa perde "tutto il resto".
In quelle attività produttive dove la giornata, o le giornate di sciopero, comportano un danno immediato in termini economici lo sciopero rimane, nell'ipotesi di realtà produttive forti e redditizie, probabilmente uno strumento di una qualche efficacia. Se ci si pensa un attimo lo sciopero, il diritto di sciopero, nasce in queste realtà, nell'agricoltura, nell'industria estrattiva o di processo, dove fermarsi è sempre molto costoso per tutti.
Mi domando se oggi, in un mondo molto diverso da quello in cui lo sciopero ha avuto origine ed attuazione come strumento di lotta, questo sia ancora qualcosa di attuale ed efficace. Facciamo qualche analisi:
Sciopero in agricoltura: ha senso fino a quando i prodotti non raggiungono i frigoriferi. A quel punto i tempi si dilatano, le consegne possono essere comunque effettuate almeno finché non si esauriscono i magazzini (tutta la filiera). Occorrono molti giorni prima che certi prodotti inizino a mancare e comunque spesso si tratta di prodotti sostituibili con altri.
Sciopero nell'industria : ha senso solo quando non si fa, ovvero nei periodi di espansione, di forte domanda, quando il blocco della produzione si traduce in riduzione di vendite. Nei periodi, come l'attuale, probabilmente è utile a svuotare qualche magazzino stracolmo e a ridurre i costi di aziende in difficoltà. Rimane incisivo, ma si tratta di posizioni privilegiate, l'interruzione di un certa attività ne danneggia altre con un evidente danno economico.
Sciopero nei trasporti e negli altri servizi pubblici essenziali (sanità): è quello che realizza uno spostamento del danno dalla controparte (che è però in genere pubblica) sulla popolazione. E' uno sciopero molto dannoso ed interviene su meccanismi complessi in cui l'utenza viene danneggiata ingiustamente per fare pressione - attraverso la politica che è costretta ad intervenire a tutela dell'interesse pubblico - sulla controparte (l'azienda pubblica,  ferrovie, ecc.). Lo sciopero in questi settori è un'arma talmente forte e squilibrata che è limitato per legge. E' mia opinione che, visto il gran numero degli scioperi specialmente nel settore dei trasporti, questo sia oggi sproporzionatamente vantaggioso per i lavoratori e gli addetti del settore (in grado di ricattare l'interlocutore a fronte di un costo/rischio minimo). Probabilmente andrebbe del tutto vietato lo sciopero assimilando certi settori alla difesa ed alle forze dell'ordine.
Sciopero nei servizi: dipende molto dalla natura del servizio. Nelle attività a maggiore contenuto intellettuale l'interruzione del lavoro, se non prorogata nel tempo, non è in grado di fare molti danni alla controparte. Nel commercio visto la dimensione media delle strutture è sconosciuto se non nella grande distribuzione, dove avrebbe efficacia solo se riuscisse a spostare il danno sulla popolazione (ma dovrebbero scioperare "tutti" i supermercati, e rimarrebbero comunque delle alternative). 
Sciopero nella Pubblica Amministrazione: se si è in presenza di attività rivolte al pubblico (p.es. uffici postali, tribunali) si effettua lo spostamento del danno sull'utenza e si ricade, con minore forza per il minore impatto, nel campo dei servizi pubblici essenziali . Nelle altre attività amministrative lo sciopero è solo un risparmio per le casse dello Stato (ne più ne meno di un'azienda in crisi e con eccesso di manodopera), qualche giorno di fermo non è proprio un problema.
Sembrerebbe che lo sciopero sia uno strumento efficace per chi già si trova in un posizione molto forte, con compiti importanti e posizioni chiave (spesso già ben tutelate e pagate, si pensi ai macchinisti o ai piloti). Vince chi ha la forza del numero e dell'esclusiva, per i piccoli e meno tutelati nell'universo della PMI italiana suona solo come un'autoriduzione del salario o dello stipendio. 
I precari, i vari co.co.pro., gli interinali, i part-time, si sa, non scioperano. Non scioperano perché poco tutelati, mediamente poveri (una giornata persa "pesa"), e spesso non indispensabili o comunque rimpiazzabili.
Ma se il lavoro nuovo e moderno è tutto all'insegna della flessibilità e della precarietà ci saranno ancora scioperi in futuro?