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mercoledì 16 giugno 2010
L'Italia che verrà - 5 - Il centro sud
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lunedì 14 giugno 2010
L'Italia che verrà - 4 - Ancora il Nord
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Un'altra questione importante si aprì nel 2035, a 6 anni dalla costituzione dell'Unione delle Libere Province Padane, con la Provincia di Venezia. Nel 2028, pochi mesi prima del blocco del sistema ferroviario, era stato completato il Mose ed era stato affidato ad una multinazionale olandese il plurimilionario contratto di gestione e manutenzione delle paratie mobili. La Provincia di Venezia, subentrata al Ministero delle Infrastrutture nei rapporti con il gestore, nel giro di pochi anni non fu più in grado di onorare il contratto che fu rescisso unilateralmente affidando l'appalto alla Cooperativa Gondolieri che si impegnò ad assumere il personale tecnico per la gestione e la manutenzione degli impianti. La necessità di ridurre le spese obbligò la cooperativa ad una seri di avvicendamenti del personale che portò fuori dalle strutture i tecnici olandesi sostituiti con ex gondolieri anziani nel ruolo via via di responsabile delle emergenze, capo manutentore, ecc.
Nella notte di Natale del 2035 si trovò nella sala controllo Bepi Piccioni che, prossimo alla pensione era stato messo lì con il compito di chiamare l'ingegnere capo in caso di allarme. Purtroppo l'allarme arrivò annunciando una delle più grandi maree della storia accompagnata da una grande alluvione. Il Bepi fece il possibile, chiamò l'ingegnere capo ma, vuoi le linee disturbate, vuoi il dialetto venexiano stretto al quale l'ingegnere capo di origini olandesi non era avvezzo, commise una serie di errori consecutivi ai comandi degli impianti che l'acqua alta sommerse Venezia per 15 giorni e tutte le paratie del Mose risultarono gravemente danneggiate.
Si registrarono danni enormi a tutte le strutture cittadine, il ponte di Rialto danneggiato, i moli distrutti, la Basilica devastata. L'amministrazione Provinciale dichiarò il proprio totale dissesto finanziario e chiese l'aiuto dell'Unione, che però, in una memorabile assemblea dei Capitani delle Province ( i Presidenti avevano cambiato il nome in Capitano della Provincia), a maggioranza, con le solo Province venete contrarie, decisero di abbandonare al suo destino la città di Venetia (già Venezia) assicurando un aiuto individuale agli abitanti che avessero scelto di evacuare la città (priva ormai di servizi pubblici) per trasferirsi nell'entroterra. Già nel 2037 la città e la laguna, devastate dalle maree e dai saccheggi, avevano assunto un'aspetto spettrale, molti alberghi erano divenuti alloggi per la criminalità o depositi per merci di contrabbando.
Grazie all'interessamento di alcune personalità pubbliche ed allo Stato Italiano, il quale però non aveva più titolo ad intervenire direttamente rimanendo la Provincia di Venezia territorio dell'Unione delle Libere Province nel frattempo rinominata Longobardia (in memoria dei mitici Longobardi), l'ONU intervenne a tutela del patrimonio culturale della città procedendo all'invio di 3000 caschi blu con il compito di prendere il controllo di tutti gli edifici pubblici e costituire una struttura amministrativa straordinaria in grado di procedere alla riparazione del Mose ed alla ricostruzione delle strutture di servizio, il tutto per permettere il ritorno degli abitanti e la riapertura delle attività turistiche e commerciali. Nel 2041 a capo dell'amministrazione straordinaria l'ONU pose un italo-americano di origini venete, un certo Mark Polo.
Scendendo più a Sud un discorso a parte merita la ex Regione Toscana che aveva lamentato subito dopo la secessione del 2028 la necessità di una maggiore autonomia nei confronti dello Stato Italiano. Conti alla mano l'Amministrazione regionale aveva dimostrato la sua sostanziale autonomia finanziaria trovandosi in un condizione di indifferenza rispetto ai contributi di solidarietà versati allo Stato e che venivano poi restituiti alla Regione in favore di alcuni comuni montani. Lo Stato italiano, allo scopo di evitare ulteriori secessioni, concesse una assoluta autonomia alla Regione in cambio del riconoscimento della sovranità territoriale e della compartecipazione alle spese di difesa e di politica estera. Di fatto a fronte del pagamento di una quota annuale la Toscana aveva acquistato una totale indipendenza politica e amministrativa. Questa indipendenza e la presenza in costante aumento di cittadini inglesi o di origine britannica portò la Regione a stringere una serie di accordi con la Gran Bretagna finalizzati ad agevolare gli investimenti anglosassoni sul territorio. I massicci investimenti, la presenza di molti cittadini anglo-toscani (la regione istituì una cittadinanza toscana), l'uso dell'inglese nella quasi totalità degli scambi commerciali, nel giro di vent'anni ha trasformato la Toscana in una regione del vecchio Commonwealth britannico che, nel frattempo, era tornato in auge come club commerciale con fini protezionistici per combattere l'espansionismo cinese. L'appartenenza della Tuscany (Toscana) al Nuovo Commonwealth aveva in breve costretto, grazie ad un sistema di controlli sui traffici commerciali mondiali e sulla qualità dei prodotti impiegati, gli investitori cinesi ad abbandonare la regione. Le manifatture cinesi vennero presto riconvertite da investitori inglesi alla lavorazione di tessuti pregiati e lane australiane. Ci furono conflitti con la comunità cinese e molti operai cinesi perso il lavoro furono rimpatriati, altri invece andarono ad ingrossare le comunità insediatesi nel mezzogiorno attorno ai porti di Napoli e di Bari. (segue)
giovedì 10 giugno 2010
L'Italia che verrà - 3 - Il Nord
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Ecco un primo approfondimento sul Nord del paese (anche la cartina è più leggibile).
Qualche premessa.
A seguito della trasformazione in stato federale completata nel 2020 tutte le regioni italiane si trovarono ad affrontare seri problemi di bilancio. Il federalismo fiscale, inizialmente strutturato su base regionale, fu - specialmente al nord - decentralizzato affidando ai Comuni (alle esattorie comunali privatizzate) l'accertamento e la riscossione di tutte le imposte e tasse. Sulle prime il sistema di trasferimenti verso lo Stato centrale sembrava funzionare ma dopo un paio d'anni tutte le amministrazioni - anche a causa di gestioni allegre - si trovarono impossibilitate a trasferire i fondi allo Stato centrale per evidenti indisponibilità di cassa.
La mancanza di fondi creò gravi problemi alle amministrazioni statali che sulle prime bloccarono i trasferimenti "di solidarietà" diretti alle amministrazioni sofferenti e successivamente chiusero (ridussero) progressivamente tutte le strutture centrali sul territorio (caserme, prefetture, uffici periferici).
In molti comuni del nord, più ricchi, prese piede l'idea che al posto dello Stato Centrale, non più in grado di erogare molti servizi collettivi, sarebbe stato più conveniente organizzare delle strutture intercomunali - aggregati di Comuni - per la gestione degli interessi collettivi.
Nel 2028 il sistema ferroviario, la cui gestione era divenuta difficile e conflittuale essendo stata frazionata su più livelli amministrativi (la rete allo Stato, le stazioni e le biglietterie - ma non tutte - ai Comuni, i treni alle Regioni, le manutenzione ad associazioni di privati o a multinazionali) collassò a causa di un incidente nella stazione di Bologna. i conflitti a livello decisionale causarono il blocco del traffico ferroviario per 20 giorni, ci furono sommosse di pendolari costretti a fare ricorso a soluzioni alternative approntate dai singoli Comuni e anche da privati che, nell'emergenza, avevano ottenuto la liberalizzazione assoluta del servizio di trasporto (taxi e pullman). Dopo 15 giorni di blocco totale la maggior parte dei Comuni del nord con a capo quello di Bologna decisero di nominare una consulta di esperti e di istituire un fondo di emergenza necessario per pagare i debiti ed eseguire quei lavori strettamente necessari per far ripartire i treni. Da quel momento i Comuni del nord bloccarono tutti i trasferimenti allo Stato centrale impegnadosi però a garantire a tutte le strutture centrali esistenti sul territorio i fondi necessari per il funzionamento a partire dagli stipendi. Fu di fatto la secessione delle amministrazioni comunali dallo Stato centrale. L'anno dopo, nel 2029, i comuni della Lombardia si costituirono come Libere Unione di Comuni su base provinciale. Le province successivamente si confederarono come Libera Unione di Province Padane alla quale aderirono progressivamente la maggior parte delle province del nord del paese, quelle del Piemonte prima, poi il Veneto e la Liguria. L'Emilia Romagna ne uscì malconcia in quanto riemersero a livello locale campanilismi storici e conflitti tali che la posizione di molti Comuni non fu subito chiara. Il Comune di Bologna che pure aveva capeggiato la rivolta non era intenzionato a sganciarsi dal resto del paese anche per conservare quel ruolo che la posizione geografica gli aveva nei secoli assicurato. I Comuni dell'Emilia che inizialmente avrebbero voluto aderire alla Libera Unione si trovarono fisicamente impossibilitati a farlo dalla chiusura dei ponti sul Pò la cui gestione (molto onerosa) era rimasta al Stato centrale che, come risposta, aveva immediatamente imposto un forte pedaggio al transito degli abitanti dei Comuni della Libera Unione. Altre province del nord preferirono invece avviare con gli Stati confinanti una serie di trattative finalizzate alla progressiva integrazione dei loro territori con le amministazioni dei territori limitrofi e storicamente vicini per lingua e tradizioni.
Furono necessari molti anni ma tra il 2035 e il 2040 prima l'Alto Adige poi la Valle d'Aosta ed infine una parte dei comuni del Friuli tra cui Triste divennero nell'ordine territorio austriaco, francese e sloveno. (segue)
L'Italia che verrà -2
Ho preparato una mappa del nostro paese tra 40 anni....
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seguono approfondimenti.
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